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    La storia insegna, l'Atalanta può vincere lo scudetto

    La storia insegna, l'Atalanta può vincere lo scudetto

    • Furio Zara
      Furio Zara
    La domanda è una sola: può l'Atalanta vincere lo scudetto? L'inizio di questo campionato spinge verso un cauto ottimismo (si deve essere ottimisti quando una squadra di provincia gratta via gloria al Potere, chiunque esso sia). Svariati i motivi: la qualità complessiva, la profondità dell’organico, il rodaggio compiuto in questi anni con Gasperini, l’anomalia di un torneo che è e sarà pesantemente condizionato dall’emergenza Coronavirus. Detto questo: è già successo. In Italia e altrove. In Europa nell'ultimo decennio lo scudetto più imprevedibile è stato - va da sé - quello del Leicester. In Francia nel 2011 ha vinto il Lilla, l'anno successivo il Montpellier e pure il Monaco (2017) ha provato a scalfire la dittatura del Psg. Per l'anomalia in Bundesliga bisogna andare al 2009 quando il Wolfsburg vinse il suo primo e unico titolo, in Spagna - tra Barcellona e Real Madrid - il solo Atletico Madrid (2014) è riuscito a ritagliarsi una stagione di gloria.

    Quando si parla di «scudetti-sorpresa» in Italia invece è inevitabile fare riferimento al Verona di Bagnoli, che vinse il tricolore nel campionato 1984-85. Validi anche gli esempi di prima (il Cagliari di Riva nel 1969-70) e dopo (la Sampdoria di Vialli e Mancini nel post Italia ’90), ma resta quel Verona - squadra provinciale, cresciuta nel giro di tre-quattro anni - il modello più limpido. Difficile dire in che cosa siano simili questa Atalanta e quel Verona, sono passati trentacinque anni e il calcio è cambiato profondamente (non sempre in meglio), e comunque ha mutato la sua natura. Quel Verona era una squadra composta da scarti dei grandi club (Fanna, Tricella, Di Gennaro, Marangon, Galderisi, Sacchetti) e aveva un paio di stranieri che fecero la differenza (Briegel e Elkjaer Larsen); quest’Atalanta è ormai un top-club, competitivo in Europa e con Gasperini capace di raggiungere piazzamenti egregi: 4°, 7°, 3° e ancora 3° posto, più una finale di Coppa Italia e i quarti di Champions League. Quel Verona - ricordiamolo - era al terzo campionato di A. Il primo anno - da neopromosso - chiuse col botto: 4° posto e finale di Coppa Italia (persa con la Juventus). Il secondo anno una discreta conferma: 6° posto e ancora finale Coppa Italia (persa con la Roma). Il terzo anno arrivò lo scudetto. Da lì in poi, un lento declino. L'Atalanta sembra attrezzata (stadio, proprietà, bilanci, squadra, vivaio) per un futuro decisamente più solido.

    Un aggancio c’è: il Verona dell’epoca vinse un campionato strano, inedito, nuovo. Quella (1984-85) viene ricordata ancora oggi come la stagione del sorteggio arbitrale integrale. Si disse: sorteggiando gli arbitri, verranno eliminati i favoritismi. E’ una verità parziale. In realtà gli arbitri venivano inseriti dal designatore D’Agostini all'interno di diverse fasce (all'inizio tre, poi divennero sei) destinata ognuna ad un lotto di partite, all’interno del quale si provvedeva al sorteggio. E c'era comunque, da parte delle società più potenti, la possibilità di «ricusare» un arbitro sgradito. Insomma, era un sorteggio pilotato (nella prima fase) e libero nella seconda. In ogni caso: un'anomalia che contribuì a ridefinire la gerarchia della Serie A. Anche quello di quest'anno è un campionato inedito, fragile, soggetto allo schiaffo del Covid-19; un torneo che si gioca dentro stadi vuoti, senza pubblico e che premia la qualità e i principi di gioco, al netto dei condizionamenti esterni. E’ un campionato - allora come oggi - che per motivi diversi porta con sé la scintilla della sorpresa. Ieri fu il Verona, domani - chissà - potrà esserlo l’Atalanta.

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