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    La solitudine natalizia del tifoso italiano

    La solitudine natalizia del tifoso italiano

    Ciascun tipo di esagerazione, quando è tossica, alla fine provoca sempre danni biblici fisici e psichici. Esistono però alcune tipologie di eccessi, diciamo così, sani la cui improvvisa mancanza suscita in ognuno di noi malesseri assortiti. Il gioco del pallone in questo scorcio di nuovo secolo ha assunto una rilevanza popolare mai avuta precedenza. Il bombardamento televisivo pressoché quotidiano di partite nazionali e straniere ha prodotto uno stato di bulimia non solo nel tifoso ma anche nel semplice appassionato. Ora l’Italia pallonara si trova a dover fare i conti con un blackout agonistico sino alla Befana perché tutti i protagonisti del mirabolante Barnum sono andati in vacanza.

    Diciamo la verità, vorremmo essere inglesi, spagnoli, e persino turchi. In questi Paesi gli stadi saranno aperti e popolati anche nei giorni consacrati alle canoniche feste per la nascita del Bambin Gesù e per la fine dell'anno. E persino in Australia, Vietnam e Antille Olandesi le rispettive federazioni non hanno ritenuto opportuno far rientrare la macchina nei box e sospendere lo spettacolo.

    Personalmente, fino a qualche anno fa, ero tra coloro che denunciavano il rischio dell’overdose di calcio se il circo del pallone non si fosse dato una regolata. Pensavo che, lo slogan “oltre il calcio poco o niente” rappresentasse un teorema assai pericoloso per la salute e per la sanità mentale della gente. Un film, un concerto, un buon libro o anche soltanto una gita fuori porta con la famiglia potevano e anzi avrebbero dovuto fornire una valida e sensata alternativa all’assenza di campionato o di Coppe assortite.

    Poi è accaduto che, sulla cresta dell’onda dell’invasione più o meno barbarica dei “mille” canali televisivi, il sottile piacere della partita si trasformasse sempre di più in un’autentica necessità persino fisiologica pari al bisogno del nutrimento quotidiano salvo, in caso contrario, finire in profonda crisi di astinenza. Sicchè, in questi giorni di silenzio un poco luttuoso, dovremo portare pazienza e cercare tutti di farcene una ragione se, dopo tradizionali pranzi e cenoni, ci sorprenderemo smarriti a dover sfidare una coda bestiale per vedere il film di Pieraccioni, affrontare l’autoscontro umano tra le bancarelle dei mercatini natalizi, correre il rischio di svenire tra la pazza folla dei centri commerciali oppure regalarci una pennichella scacciapensieri sul divano del salotto. Gli stadi saranno deserti. Le televisioni portatrici di melense soap o, ben che vada, di Lilli e il Vagabondo.

    Non è giusto, però. Riflettiamo e analizziamo la vicenda in tutti i suoi aspetti. Domanda. Chi sono i calciatori e anche gli allenatori? Meglio ancora, chi e che cosa sono diventati rispetto a quelli che li hanno preceduti in epoche che sembrano essere lontane anni luce dalla nostra? Risposta. In primo luogo uomini di spettacolo come testimonia il fatto che la loro previdenza sociale sia l’ENPALS e non l’INPS. Esattamente speculari (taluni anche per compenso economico) ai big della musica, del cinema, del teatro e di tutto ciò che produce divertimento popolare. Mai visto e sentito di una compagnia teatrale che sospende le recite per le vacanze natalizie. Mai visti e né sentiti Gianna Nannini o Vasco annunciare “ci vediamo dopo la Befana”. Insensato immaginare che professori e maestri del Santa Cecilia non si presentino al concerto di Natale perché sono andati a sciare. Ricordo che, da ragazzo, le due stagioni passate a lavorare con Dario Fo e Franca Rame, a Capodanno brindammo in scena con il pubblico per poi riprendere il lavoro. Eppoi da giornalista. Sempre al servizio della gente, tranne un giorno, anche a Natale e Capodanno.

    Come dicono gli americani “The must show go on”, lo spettacolo deve continuare. Ma noi siamo italiani, mica americani. Silenzio, allora, per ascoltare il rumore che fa l’insostenibile solitudine del tifoso.

    Marco Bernardini

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