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La solitudine di Iniesta, le distrazioni di Piqué: il Barcellona è all'ultima recita
Prima che la squadra nel suo complesso, il segnale dell’incertezza lo hanno dato nella gara di Torino gli ultimi rappresentanti della vecchia guardia: Piqué e Don Andres. L’ultimo grande di una scuola calcistica che ha fatto epoca ma che si sta allontanando, ogni giorno che passa, dalla cronaca.
Il grande manchego a Torino è sembrato solo. Quasi confinato nella sua tecnica. Privato dai compagni, troppo impegnati a discutere tra loro, di un dialogo tecnico continuo è uscito dopo il tiro paratogli da Buffon, dalla partita.
Lì mentre il centrocampo spariva, la difesa non era vicina all’avversario, Messi si defilava e Suarez e Neymar giocavano il loro calcio della nevrosi cioè quello del soli contro tutti, Don Andres capiva la fine di un’era.
Il Barcellona è stato in questi anni il simbolo del gioco di centrocampo. L’idea della costruzione continua.
E’ stato anche una religione di integralismo tattico che i suoi sacerdoti più alti hanno provveduto a divulgare sui campi d’Europa. Tutto però a Torino ha dato, con la squadra spezzata in due, il segno dell’indeterminatezza e la fine del credo in una fede.
Se Iniesta rappresenta, pur nella sua grandezza finale, il segno dell’indecisione tecnica del Barcellona, Piqué è il depositario di quella ideologica. I buchi della difesa, l’esposizione all’avversario, il vuoto di spazi tra un giocatore e l’altro si spiegano tecnicamente, ma anche concettualmente.
L’irriverenza di un pretoriano della vecchia guardia come il catalano verso il rivale storico di Madrid stona oggi che l’incertezza domina e il rischio eliminazione è alto. Non è più lo stimolo per concentrarsi sull’avversario di coppa ma il segno della distrazione, l’altro sintomo della fine di una grande idea.
Il senso di appartenenza a una diversità suona stonato e stanca è tutta la retorica della rimonta di tipica marca spagnola. Concetti che hanno fatto la storia e che per questo hanno affascinato, ma che oggi a poche ore dalla gara sembrano privi dell’energia visionaria di un tempo. Si recitano solo e non si sentono.
La squadra spezzata in due, la denuncia di Don Andres del centrocampo perduto, la retorica fioca del catalanismo conquistatore recitata da Luis Enrique e Piqué, fanno pensare alla requisitoria di Napoleone a Waterloo ai suoi marescialli mentre arrivava Blucher a salvare Wellington. Dov’è la vostra fede? Chiese l’imperatore senza ricevere risposta. In quel silenzio, c’era tutta l’insicurezza di chi è consapevole che si tratta, comunque vada, dell’ultima recita. Che può andare bene e allungare il mito o può andare male e chiudere i ponti con la cronaca.
I grandi spagnoli del nostro tempo calcistico sono in questa situazione davanti alla Juventus. Il 3-0 di Torino è stato il primo passo della squadra di Allegri. Ora occorre la prudenza della forza e la voglia di segnare il punto decisivo ad una squadra che recitando l’ultimo atto si pensa ancora invincibile, anche se in cuor suo sa che è arrivata l’ultima grande recita, quella del tutto o niente, regno dell’incertezza.
@MQuaglini