
La Serie A, un Paese per vecchi: Pedro e tutti i giocatori rinati nel nostro campionato
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L’ex Barcellona, classe 1987, è rinato e a beneficiarne, in Serie A, come in Europa League, sono i biancocelesti che avevano scommesso su di lui nel 2021, dopo un'annata deludente alla Roma che ne seguiva altre 5 al Chelsea e dopo l'addio al suo primo club, il Barcellona. Da tempo Pedrito, il cui palmares fa ancora invidia a tanti, sembrava aver imboccato la proverbiale via del tramonto ma chi ne aveva pronunciato il calcistico de profundis si è ormai dovuto ricredere. Anche a 37 anni Pedro impatta e decide le gare della nostra amata Serie A.
Come interpretare questo fatto sta poi alla discrezione di ognuno di noi ma non è certo la prima volta che un giocatore che sembrava “finito” si ritrovi nel nostro campionato. Bravi noi o un segnale che il livello della nostra lega si è abbassato a tal punto da diventare agevole per calciatori che altrove non avrebbero più potuto essere protagonisti? Ritmi bassi, squadre ben organizzate tatticamente, poche corse e le grandi motivazioni che arrivano da un Paese in cui il calcio è ancora la più importante tra le cose non importanti possono essere tra i fattori di questa tendenza. Eppure i numeri rivelano che i giovani stanno iniziando a trovare più spazio, anche in alcune grandi squadre. I vecchi leoni però fanno storia a sé e, grazie al loro immortale talento, alla loro dedizione, alla loro certosina cura del corpo, hanno da sempre benedetto con le loro gesta la Serie A. La lista dei giocatori rivitalizzati dalla Serie A è lunga e piena di campioni e, c’è da scommetterci, si arricchirà di nuovi nomi anche in futuro.

Pedro
Impossibile non partire in questa rassegna da Pedro. Nelle prime 12 gare giocate nell’annata 2024/25, tra A ed Europa League, ha già messo a referto 6 reti, equamente divise, e due assist: un gol ogni 100 minuti, roba da grandi bomber. Quando sembrava dovesse essere messo definitivamente da parte e con un contratto in scadenza, ha beneficiato del nuovo corso Baroni per sfoggiare una stagione d’altri tempi. Certo, i bagliori di Barcellona sono lontani ma la classe è per sempre. In Catalogna, nella sua prima stagione da professionista, aveva stabilito un clamoroso record dopo essere andato in gol in tutte le competizioni – fu il primo a farlo – segnando in Coppa del mondo per club, in Supercoppa europea, in Liga, in Coppa del Re e in Champions League. Ci sono le sue mani e i suoi gol nella vittoria della coppa dalle grandi orecchie del 2011, quando segna al Real Madrid nel ritorno della semifinale e al Manchester United in finale. C’è sempre stato Pedro nei successi della Spagna, in quelli del Barcellona più forte di sempre. Non un predestinato ma un ingranaggio fondamentale in una delle squadre più iconiche. Un perfetto secondo violino, un comprimario di classe. Quando ha provato a mettersi in proprio, andando al Chelsea a 28 anni, dove aveva un ruolo più centrale, senza l’ingombrante presenza di Messi, qualcosa è mancato. Ci ha provato a rilanciarsi con la Roma, senza grosse fortune. Gli infortuni e le incomprensioni prima con Fonseca e poi con Mourinho lo avevano spinto al clamoroso salto dalla Roma alla Lazio del suo ex allenatore Sarri. Fu il primo a farlo dagli anni Ottanta. La sua prima stagione in biancoceleste è positiva, le due che seguono sono, al massimo, discrete. Insomma che potesse ritrovare il Sacro Graal alla sua quarta, a 37 anni, era una previsione ardua ma contro Pedro, uno dei giocatori più sottovalutati della sua generazione, è sempre meglio non scommettere.

Miroslav Klose
Forse il club maggiormente specializzato in questo genere di missione è proprio la Lazio. Non solo Pedro e neanche solo Lucas Leiva, altro giocatore preso in uscita da una grande e posto al centro del progetto biancoceleste per stagioni vincenti, c’è stato un altro caso in cui l’ambiente di Formello ha ridato lustro a un calciatore di grande livello, riportandolo al top sul piano internazionale. Era già successo infatti con Miroslav Klose. Il suo arrivo in Italia era stato interpretato come l’ultimo tentativo di un vecchio bomber di non arrendersi alla carta d’identità e di provare a farlo, godendosi la città eterna. Quando gli toccò davvero di ritirarsi, lo fece sì ma dopo 63 gol in 171 presenze, entrando nella storia anche del club biancoceleste. Dopo gli anni al Kaiserslautern, Klose si era affermato con il Werder Brema dove, in un anno, il suo secondo lì, aveva toccato anche quota 42 gol stagionali. Quasi scontato il suo passaggio al Bayern Monaco con cui disputa 4 ottime stagioni. Nel 2011, a 33 anni, reduce da tanti infortuni e da una stagione passata a fare da vice a Mario Gomez, la decisione: addio Bayern e scommessa Lazio. Con il club di Lotito è amore a prima vista e saranno ricordi memorabili. Dai 5 gol tutti in una volta al Bologna alla vittoria sulla Roma in finale di Coppa Italia, dal ritorno in Champions League ai record col club, che si andavano ad aggiungere a quelli ottenuti con la nazionale tedesca e nei Mondiali, fino a diventare lo straniero che, in maglia biancoceleste, ha realizzato più reti nei campionati italiani.

David De Gea
Ha invece 34 anni David De Gea ed è un giocatore dell’attuale Fiorentina. Lo è da poco, da quest’estate, quando dopo oltre un anno di stop, è tornato a mettersi i guantoni. Dopo due stagioni all'Atletico Madrid, il club dove era cresciuto, e ben 12 al Manchester United che lo aveva prelevato proprio dagli spagnoli nel 2011 per 21 milioni di euro. Qui si era affermato come uno dei migliori portieri del panorama mondiale con il suo club e con la nazionale. Dagli inglesi – con i quali aveva giocato 545 volte - si era liberato nel 2023: non gli era stato rinnovato il contratto che era in scadenza. Che fare? Ritirarsi o continuare? È stata la Fiorentina a fargli tornare voglia di scendere in campo. De Gea non si era in realtà mai ritirato ma aspettava solo la proposta giusta, la sfida adatta per farlo tornare a fare quello che sapeva fare meglio: parare. Lo fa contro tutte le squadre della Serie A, contro il Milan, nella settima giornata di questa Serie A quando para due calci di rigore. Reattività tra i pali, esperienza, leadership, guida del reparto e anche un assist a Kean. Il fulmine ha colpito ancora, la nostra lega ha ripescato un giocatore in procinto di finire ormai nel dimenticatoio.

Henrikh Mkhitaryan
Altro giocatore a vivere una seconda giovinezza in Serie A è certamente Mkhitaryan. Carriera di alto livello la sua, sviluppatasi prima in Ucraina e poi in top club come Borussia Dortmund, Manchester United e Arsenal. Eppure le grandi promesse non erano state poi del tutto soddisfatte tra Bundesliga e Premier League. A 30 anni, quasi senza che nessuno se ne fosse accorto, in prestito e in saldo, passa alla Roma dove disputa tre anni da fenomeno, con numeri da attaccante. Un exploit inatteso che lo porta poi, a zero, nonostante volesse rimanere in giallorosso, all'Inter dove sublima la sua carriera, aggiungendo corsa e acume tattico al suo gran talento. Inzaghi non lo toglie mai dal campo e l'armeno vince campionato e coppe, arrivando anche in finale di Champions League. Un Mkhitaryan così come lo abbiamo visto noi lo si era visto raramente: agli inizi della carriera, a Dortmund quando in un anno aveva sfondato quota 20 gol, e a sprazzi tra United e Arsenal. A Manchester era stato pagato oltre 30 milioni poi di traverso si misero gli infortuni e le incomprensioni con Mourinho, bissate poi con quelle con Emery ai Gunners che di fatti lo lascia andare a cuor leggero alla Roma. Eppure la prima stagione in Premier prometteva bene con buone cifre, poi dimezzate nella seconda. All’Arsenal il discorso fu simile: un anno e mezzo a intermittenza, senza lasciare troppo traccia. L’armeno che si è potuta godere la Roma è stato di ben altra pasta. Dopo una buona prima stagione, un’annata eccezionale nella seconda con 15 gol. Al terzo anno l’addio a zero e il trasferimento all’Inter. Qui è passato da iniziale riserva a titolarissimo, complice la partenza di Brozovic e l’accentramento di Calhanoglu, fino a diventare una sorta di talismano di Inzaghi. Anche per lui l’aria d’Italia è stata salvifica.

Franck Ribery
Come non citare l'avventura italiana di Ribery. Stella del Bayern Monaco pigliatutto in Germania e in Champions League, lascia il club bavarese a 36 anni ma non per ritirarsi. Da svincolato, accetta la corte della Fiorentina che lo accoglie da grande campione quale era stato e quale dimostrerà ancora di essere. Giocate, dribbling, personalità e classe, nonostante l'età di certo non più verde, il francese brilla anche da noi. Qualche infortunio e la pandemia lo bloccano ma la sua prima annata va agli archivi con 3 reti in 21 gare. Saranno di più, entrambe, in quella successiva chiusa con 2 gol in 30 gare e il consueto grande apporto a una squadra giovane che a lui si affida quasi ciecamente. Il contratto gli scade ma lui non molla e si accorda con la Salernitana, appena risalita in Serie A. Gioca poco per gli acciacchi fisici ma, quando lo fa, è uno spettacolo per gli occhi: sono 23 presenze fondamentali le sue per un'insperata salvezza. Resta anche per la stagione seguente ma, a causa di altri fastidi fisici, si ritira nel mese di ottobre, lasciando nella memoria dei salernitani, come aveva fatto con i fiorentini, ricordi indelebili

Luis Figo
Altro super talento che l’Italia si è goduto tardi, ma non troppo tardi. Dallo Sporting al Barcellona prima del contestatissimo passaggio al Real Madrid dei Galacticos, ovunque è passato Figo ha lasciato con sé una traccia di classe ed eleganza. Dieci anni, equamente divisi tra le due big di Spagna, prima di cercare altro, una nuova sfida da prendere di petto a 33 anni. Gliela offre nel 2005 l'Inter di Moratti, uno che di giocatori come il portoghese è sempre stato estimatore. Ma chi credeva che l'ex Pallone d'Oro fosse venuto a Milano solo per svernare fu sorpreso dalla professionalità, dalla forma e dall'apporto che Figo seppe dare ai nerazzurri. Diventa ben presto un valore aggiunto, il suo talento è imprescindibile per la squadra di Mancini che faceva della forza fisica il suo marchio di fabbrica. Con l’allenatore jesino però presto iniziano i dissapori. Figo entra in tutti i successi di un'epoca nerazzurra di rivalsa e che riporta il club ai vertici della Serie A, gettando le basi per quella squadra che poi saprà centrare il Triplete un anno dopo il suo ritiro. Un infortunio serio lo mette ai box a lungo ma con l'addio di Mancini e l'arrivo del connazionale Mourinho si trasforma ancor di più in un leader dello spogliatoio. Nei primi due anni in nerazzurro sfiora addirittura le 100 presenze in tutte le competizioni, nei successivi due il suo minutaggio cala ma non la sua influenza e la sua classe che quella, si sa, non va mai via.
Simon Kjaer
Quando una squadra è in crisi, meglio affidarsi a degli abili navigatori. È stato questo il ragionamento di fondo del Milan che nel gennaio del 2020 si presenta rinnovato con gli arrivi di Kjaer e Ibrahimovic. Non a caso entrambi saranno decisivi per gli anni a venire. Il primo ha vissuto diverse vite. La prima da ragazzo prodigio in Danimarca, prima dell'esplosione con il Palermo e il passaggio in Bundesliga, al Wolfsburg, a suon di milioni (12, 5 quelli spesi dai tedeschi). Il fugace ritorno in Serie A, alla Roma, e poi una carriera di buon livello tra Lille, Fenerbahce e Siviglia. Il richiamo però della Serie A è troppo forte e lo convince a tornare, per la terza volta, nel 2019, a 30 anni. L'esperienza all'Atalanta però è un fiasco fatto di sole 5 gare e di un rapporto mai decollato con Gasperini. Rescinde coi nerazzurri, torna al Siviglia che però lo sbologna subito, finita qui? Neanche per sogno, arriva la chiamata a gennaio del Milan e la consacrazione, a fine carriera, come uno dei migliori difensori della sua generazione. Quattro anni - dal 2020 al 2024 - in cui Kjaer prende per mano la difesa rossonera, i suoi giovani compagni e diventa un pilastro di una squadra che si rialza da uno dei suoi periodi peggiori, fino a raggiungere l'apice dello Scudetto. In quella stagione in realtà il suo contributo in campo fu relativo, a causa della rottura del crociato a dicembre, ma senza di lui a mettere le fondamenta, difficilmente quel titolo sarebbe arrivato.

Zlatan Ibrahimovic
Il discorso per Ibra è per certi versi simile e per altri diverso, basta moltiplicarlo per n volte, considerata la portata del giocatore. Il Milan lo aveva lasciato - per meri bisogni economici, insieme a Thiago Silva - nel 2012 con direzione comune: Psg. Diventato una bandiera del club, era passato nel 2016 al Manchester United in quello che avrebbe dovuto essere il suo ultimo club europeo. Si era infatti deciso a chiudere la carriera nella Mls, ai Los Angeles Galaxy. Qui gioca e incanta per più di un anno, prima che il vecchio amore milanista gli faccia fare la strada all'inverso. Torna nel 2020, anzi il 27 dicembre 2019, firmando un contratto di sei mesi. Giocherà altri tre anni: altro che ex giocatore, Ibra è fondamentale nella ricostruzione del Milan, in campo e fuori. E si capisce subito quale sarà l'andazzo: alla sua seconda presenza, a Cagliari, torna subito al gol, come se il tempo non fosse mai passato. Il Milan pian piano si rialza: chiude l’anno al sesto posto grazie agli 11 gol in 20 gare dello svedese. Resta, non può far altro. L’inizio del campionato successivo gli dà ragione: segna 10 reti nelle prime 6 presenze stagionali in campionato e rinnova ancora per un anno. Nonostante diversi infortuni, segna 15 volte nelle 19 in cui scende in campo e riporta il Milan in Champions League. L’aria è matura, lo Scudetto diventa alla portata. Mentre spazza via un numero considerevole di record di longevità, diventa sempre più uomo squadra, alternandosi con Giroud in un Milan che vola fino a regalargli il suo secondo tricolore in rossonero. Lo firma con 8 reti in 27 partite. Tre giorni dopo la vittoria del campionato si opera al crociato e resta ai box per mesi. Ma non molla ancora e rinnova per un’ultima stagione nella quale segna una rete nei 143 minuti giocati. È tempo di dire basta con la consapevolezza di aver invertito il corso della storia milanista, un’altra volta.


Bruno Alves
La categoria che più delle altre regala grandi giocatori ritrovatisi in Serie A è senza dubbio quella dei difensori centrali. Si tratta questo di un ruolo in cui, più si va avanti con l’età, più l’esperienza diventa fondamentale, quasi preponderante sulla forma fisica. Non serve poi tanto più correre per 90 minuti, scattare per centinaia di volte, con il tempo si impara a centellinare i propri sforzi, a usarli solo quando serve. Una corsa in meno ma una corsa utile per difendere la propria porta. Di carisma traboccavano giocatori come Bruno Alves e Samuel Umtiti. Centrali forti fisicamente, esperti, dall’alto profilo internazionale. Hanno vinto coppe, campionati, mondiali, partite su partite in campionati blasonati. Eppure in Italia hanno giocato per squadre minori, per le cosiddette piccole. Il portoghese è passato per Cagliari e Parma, lasciando in entrambe le piazze un ottimo ricordo di sé. Soprattutto in Emilia, dove ha giocato tra il 2018 e il 2021 quando aveva tra i 37 e i 39 anni, l'ex Porto e Zenit ha mostrato come si sta in campo, comandando in difesa e segnando anche delle splendide punizioni quando si spingeva avanti.

Samuel Umtiti
Più breve ma non meno significativa l'esperienza del francese in Italia. Arrivatoci come un giocatore ormai a fine corsa, Umtiti al Lecce è ripartito. Un solo anno ma denso, pieno di cose e di 25 inattese presenze. Ha 29 anni quando viene annunciato dai giallorossi: arrivava dal Barcellona che lo aveva comprato dal Lione per 25 milioni ma dove aveva giocato una manciata di gare negli ultimi due anni, solo due nell’ultimo in ordine cronologico. Gli infortuni, uno dopo l'altro, avevano frenato l'ascesa di uno dei migliori centrali europei, uno capace di laurearsi campione del mondo con la Francia. Si era rimesso in gioco accettando la proposta di Corvino e in poche settimane tutti avevano capito che quella sarebbe stata una scommessa vinta a mani basse. Bussare in casa dei catalani per chiederne il prestito fu una mossa tanto baldanzosa quanto azzeccata: in coppia con Baschirotto, Umtiti ha messo le basi per la salvezza dei pugliesi, creando un legame con la città che si è consolidato anche quando, scaduto il prestito, ha fatto ritorno in Francia, al Lille. Umtiti è già tornato a Lecce per guardare una partita dei suoi ex compagni di squadra e per strappare tanti applausi meritati dai suoi ex tifosi. La Serie A come trampolino di ripartenza: è già successo, continua a succedere e succederà ancora.