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La scelta di Conte: addio Nazionale. Premier? No, corre verso la Roma
Si è impegnato con tutto se stesso, ha cercato di entusiasmarsi e c’è anche riuscito, darà ogni goccia di energia per un grande Europeo. Ma non resterà sulla panchina della Nazionale: la decisione è presa e solo eventi al momento imprevedibili potrebbero cambiarla.
Antonio Conte ad aprile, ma forse già a marzo, comunicherà a Tavecchio che non intende rinnovare il contratto con la Federazione. Troppo forte il richiamo del lavoro quotidiano, troppo grande la sofferenza nel vedere gli altri sbraitare in panchina ogni maledetta domenica. Non è una questione di soldi, ma di fame: fame di campo.
E poi ha messo in conto anche questo, il ct: poniamo che in Francia, agli Europei, l’avventura vada male. Per carità, lui è un tipo che pensa sempre positivo, però guardando la nostra Nazionale non è che ti dia grandi garanzie. Non strabocca di campioni, insomma. Ecco, se per esempio finisce come in Brasile, o poco meglio, e l’allenatore finisce sul banco degli imputati, un po’ come accadde a Prandelli ai Mondiali, e magari le dimissioni restano l’unica strada per il tecnico e per il suo presidente, allora che fine fa lui, Conte? Resta a guardare, ovvio, perché a giugno tutte le panchine - quelle che contano, e anche quelle che non contano - avranno un padrone. Un’altra estate senza preparazione, senza ritiro, senza tensioni? Quasi non riesce a pensarci.
Perciò dirà di no, Conte. Ringrazierà di cuore, perché dopo Sacchi (regia di Matarrese) nessun ct ha avuto tanto dalla Federazione, non solo in termini economici ma anche di considerazione, di potere, di libertà d’azione. E si guarderà attorno. Anzi, per la verità sta già osservando ciò che accade. Con attenzione massima.
Conte vorrebbe allenare in Premier League, è il suo legittimo sogno. Non una squadra qualsiasi, però: una big. Difficilissimo che gli capiti l’occasione: Guardiola andrà al City, lo United sembra avere altri progetti (probabilmente Mourinho), solo il Chelsea potrebbe chiamarlo. Anche l'orientamento di Abramovich, però, sembra differente. E dunque?
E dunque, la Roma. Che ha bisogno di un allenatore forte, anzi fortissimo: un allenatore-società. Uno che decida tutto, faccia da scudo, non abbia paura ad affrontare il presidente, lo spogliatoio, i tifosi. Per dirla in breve: uno che sia tecnico ma anche dirigente, perché quelli che popolano Trigoria sono deboli. Troppo. Per lui, poi, la sfida è straordinaria: ha riportato lo scudetto alla Juve dopo nove anni e dopo la serie B, restituirlo alla Roma che lo aspetta dal 2001 lo trasformerebbe in una specie di leggenda. La squadra, peraltro, a Conte piace: c’è bisogno di qualche ritocco, ma c’è anche tanta qualità soprattutto sugli esterni, là dove piace a lui.
L’ostacolo, a questo punto, può essere solo Garcia, in due sensi: se improvvisamente fa molto bene (non dimentichiamo che è a quattro punti dallo scudetto…) ribalta la propria posizione; se invece naufraga adesso, diventa difficile per la Roma prendere un traghettatore, un allenatore con la scadenza a giugno, ma è quasi obbligatorio puntare subito su un uomo con cui costruire un progetto almeno fino al 2017. E allora per Conte potrebbero tornare di attualità il Milan, il cui livello tecnico però è ritenuto decisamente inferiore, e la stessa Juve, con tutti i rischi che una minestra riscaldata comporta.
Conte senza Italia, Conte alla Roma: la strada è questa. E il nuovo ct? C’è tempo per pensarci…