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La rivoluzione di Spalletti: le tre mosse con cui ha cambiato il Napoli
SQUADRA DIVERSA? - Ora, il campionato è appena iniziato, nessuno ha voglia di correre o di considerare definitive le indicazioni che hanno dato queste prime giornate. Ma, al netto della posizione finale in classifica, questo Napoli sembra una squadra totalmente diversa. Per come affronta le partite, per come è messa in campo, per come reagisce alle difficoltà, per quanto crede nei propri mezzi. Tutti sanno cosa devono fare e sono messi nelle condizioni ideali per rendere al massimo. Una rivoluzione che Spalletti ha realizzato con tre mosse.
CALCIO VERTICALE - Il tecnico in carriera ha sempre valorizzato le prime punte (Dzeko e Icardi ad esempio con lui hanno reso al massimo delle loro possibilità). Questo perché Spalletti si appoggia alle caratteristiche dei suoi bomber, li coccola, li aiuta. Il suo Osimhen terrorizza gli avversari perché può essere letale finalizzatore di un calcio verticale. Taglia le difese, le spaventa con la sua velocità, dà sempre una linea di passaggio ai compagni. Il Napoli di Gattuso palleggiava, quello di Spalletti corre in verticale appena ne ha la possibilità.
NORMALIZZATORE - Organizzare le risorse a disposizione, far rendere al meglio tutti i giocatori. Soprattutto quelli più importanti, che alla fine trascinano anche gli altri. Due esempi su tutti: Koulibaly e Fabian Ruiz. Questo Koulibaly è parente prossimo del magnifico difensore ammirato negli anni di Sarri. Imperioso, sicuro, rapido nelle chiusure, preciso nell’impostare l’azione, insuperabile nell’uno contro uno. Spalletti gli ha affiancato un simil Abiol, Rrahmani, e il rendimento del senegalese è ritornato su alti livelli. Situazione simile per Fabian Ruiz: con un giocatore fisico come Anguissa accanto lo spagnolo si sta esprimendo a livelli altissimi.
GUIDA LUCIDA E SERENA - La terza mossa è in realtà insita nello Spalletti arrivato a Napoli. Ricaricato dopo i due anni di pausa, lucido, sicuro, sereno. Il carattere istrionico è sempre lo stesso ed esce fuori quando comunica con i media, ma in panchina il tecnico trasmette fiducia alla squadra. Li guida ma non in modo ossessivo, non è sempre lì a urlare indicazioni tattiche, osserva ma interviene solo quando necessario. Non se la prende quando l’Insigne di turno si arrabbia per una sostituzione, sorride sornione anche se c’è ancora da aggiustare qualcosa. Insomma, la stessa squadra restata fuori dalla Champions dopo il crollo al Maradona contro il Verona, eliminata dal Granada in Europa League, maltrattata dall’Atalanta in Coppa Italia, oggi gioca bene e guida la serie A. Gran parte del merito è dell’uomo al comando.