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  • La Premier più italiana di sempre come la Serie A degli anni ‘80

    La Premier più italiana di sempre come la Serie A degli anni ‘80

    “E’ come l’NBA’, dice Bilic ai giornalisti il giorno prima dell’esordio del West Ham in Premier League; “la Premier League è come Hollywood”. La capitale dell’intrattenimento calcistico, dove avvengono i miracoli. “E’ il centro del mondo”, rincara la dose Ranieri, mentre per Guardiola la Premier è quel campionato dove “non è facile trovare squadre che vincono cinque partite di seguito”. Questa non è la Germania, questa è l’Inghilterra.
     
    Conte, alla vigilia della sua prima di Premier, crede che ci siano sette squadre in grado di vincere il titolo. Le sette sorelle parlano inglese adesso e sono pure ricche. Incredibilmente, scandalosamente ricche. Nonostante questo Wenger avverte: “abbiamo visto la scorsa stagione che non è necessariamente il club che investe di più a vincere il titolo”. I sogni possono diventare realtà, ma i soldi non comprano tutto.
     
    I diritti TV hanno già cambiato il volto della Premier: valgono 8,3 miliardi di sterline, la HBO trasmetterà 380 partite a stagione invece di 10 episodi di Game of Thrones, mandando in onda un copione ancora tutto da scrivere. Uno spaghetti-wester a nord ovest dove scopriremo se Manchester è grande abbastanza per Mourinho e Guardiola, ci sarà il football heavy-metal di Anfield e, forse, l’ultima sinfonia di Wenger all’Emirates. Agghiacciante, come direbbe Conte.
     
    Wenger crede che la Premier League sia “il campionato del mondo degli allenatori”, ad eccezione di King Carlo e Thomas Tuchel, Massimiliano Allegri e Luciano Spalletti, Unai Emery e Zinedine Zidane, Luis Enrique, Jorge Sampaoli, Roger Schmidt e il Loco Bielsa. A parte loro, il resto dei tecnici è in Inghilterra a giocarsi la Premier. “Allenare quei è calcisticamente divino”, insiste Ranieri.
     
    Dopo aver imbarazzato le big la scorsa stagione, Sir Claudio vuole che la favola si ripeta. Le sorelle di Manchester hanno speso 322 milioni di sterline per tornare al top. Mou e Pep hanno avuto stagioni da oltre 100 punti a Madrid e Barcellona, Conte fece lo stesso alla Juve. City e Chelsea avranno la stessa intensità di Barça e Juve senza lo stop invernale?
     
    E il Liverpool? Riusciranno a trovare continuità nella prima stagione intera di Klopp? La scorsa settimana riassume abbastanza bene lo stato dei Reds. Prima vittoriosi 4-0 contro il Barcellona, poi ridicolizzati con lo stesso risultato dal Mainz.
     
    Pochettino ha dimostrato di poter portare il Tottenham al sogno. E’ questo il suo anno? Gli avversari storici dell’Arsenal invece hanno uno Xhaka in più e il “nuovo” Alexis Sanchez trasformato in prima punta. Sarà abbastanza per vincere il titolo per la prima volta dal 2004? In pochi ci credono.
     
    Una cosa è certa. Il livello della Premier sarà più alto. Per anni è stato il campionato più divertente da vedere, ma non il migliore dal punto di vista della qualità. Basta guardare i risultati delle inglesi in Europa. Il Chelsea è l’ultima ad aver portato la Champions oltremanica nel 2012, era nel loro destino. Furono fortunati. Il loro allenatore di allora, Roberto Di Matteo, adesso allena l’Aston Villa in Serie B inglese, così come Rafa Benitez e Jaap Stam, altri due vincitori della coppa dalle grandi orecchie.
     
    L’asticella si è alzata con l’arrivo di allenatori stranieri, causando risentimento nei pochi tecnici inglesi rimasti in Premier. Prendete Sean Dyche, allenatore del neo-promosso Burnley, ad esempio. “Perché compriamo pantaloni di Gucci o Prada invece di altri?” ha chiesto ai giornalisti prima dell’esordio in Premier.
     
    “Perché pensiamo che siano migliori degli altri, ma questo potrebbe non essere vero”. Il pensiero del tecnico inglese è sposato dal nuovo allenatore dei tre Leoni Sam Allardyce che una volta disse che se il suo cognome fosse stato ‘Allardici’ avrebbe allenato Real Madrid o Barcellona invece di Bolton e Sunderland.
     
    Tornando a Dyce, è l’unico dei tre tecnici inglesi che si presentano ai nastri di partenza della Premier League quest’anno (escluso Mike Phelan, traghettatore dell’Hull City). Gli italiani sono di più: Conte e Mazzarri hanno raggiunto Guidolin e Ranieri. I giocatori del Watford hanno avuto a che fare con l’inglese di Mazzarri e i continui cambi tattici: un cambiamento culturale epocale. Guidolin, nel frattempo, ha perso il suo capitano e miglior marcatore, ma ha trovato Llorente e Borja Baston al Libery Stadium.
     
    Acquisti che non hanno attirato l’attenzione come quelli di Pogba, Mkhitaryan e Ibra al Mino United o gli arrivi di Stones, Garay, Gundogan e Sane al City, Kante e Batshuayi al Chelsea, Mane e Wijnaldum al Liverpool. Tutti hanno hanno speso tanto: per ora 819 milioni di sterline in totale, una media di 40 milioni di sterline per squadra. Il Middlesbrough, anche loro neopromossi, hanno acquistato Victor Valdes, l’ex Atalanta Maarten de Roon, Victor Fischer e Negredo. Non siamo ai tempi di Zico all’Udinese, ma la forza della Premier non si vede in Serie A dagli anni ’80 e ’90.
     
    Come dice Bilic, la Premier League è Hollywood e rimane solo una cosa da fare: scaldare i pop-corn e mettersi comodi. Lo spettacolo sta per iniziare.
     
    James Horncastle, tradotto da Lorenzo Bettoni
     

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