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    La Nazionale visita Ponte Morandi: il rumore del silenzio, con gli occhi lucidi

    La Nazionale visita Ponte Morandi: il rumore del silenzio, con gli occhi lucidi

    • Lorenzo Montaldo
    Il Ponte Morandi giace accasciato come un enorme dinosauro arrugginito, indolente e indifferente al dolore liquido che sale tutto attorno. Sono bastati soltanto due mesi di tempo dal tragico crollo per renderlo una struttura fatiscente, un residuo di un'altra epoca come nei peggiori film post apocalittici.

    Passandoci vicino ti accorgi che senza una mano costante di trucco il bestione mostra tutte le sue rughe, anzi, sembra invecchiato di anni da quello sciagurato 14 agosto. La cosa che colpisce di più però è il silenzio. E' surreale in un luogo del genere, da sempre caratterizzato dal chiasso del traffico e dei clacson, e dai gracchianti motori degli scooter attorno alla ferrovia che cigola poco più in la.

    Tutti, ma proprio tutti gli studenti genovesi passavano al mattino su quei binari, sotto al gigante di ferraglia ormai arrugginita. Sotto al viadotto da generazioni si osservava un silenzio religioso: secondo la tradizione, chi parlava mentre il treno transitava lì sarebbe stato interrogato. Oggi il silenzio è continuo, ma le domande di una professoressa sono l'ultimo dei pensieri.

    In una Genova ferita e strappata in due dal crollo del pezzo di cemento che non c'è più, la Nazionale ha provato a portare un po' di vociare nel luogo della tragedia. Gli azzurri hanno deposto una corona di fiori, e hanno potuto tastare con mano la tristezza della gente, degli sfollati, dei bambini della zona, di tutti coloro che sono stati coinvolti dal crollo del Ponte Morandi.

    I giocatori di Mancini hanno ascoltato una popolazione ferita e percorsa da una rabbia sorda, la stessa rabbia di tutti i cittadini presenti alla manifestazione che ieri ha mobilitato Genova, per chiedere risposte a quasi 60 giorni dalla tragedia. I calciatori hanno tributato un omaggio doveroso e dovuto ad una zona che ora soffre di stress post traumatico, che non dorme alla notte a causa degli incubi provocati da ogni scricchiolio e che ancora non ha interiorizzato appieno la portata di quello che è accaduto.

    Per chi non vive Genova, è quasi impossibile capire cosa significhi quel moncone trasformatosi suo malgrado in un monumento lugubre. Cosa vuol dire aver perso tutto alla vigilia di Ferragosto? Un famigliare, un amico, un parente, la casa? È impossibile persino comprendere cosa rappresentino le code infinite, il traffico congestionato ad ogni ora, sentirsi tagliati fuori dalla propria città.

    Pure per gli azzurri però alla fine la risposta è una sola. Guardare il ponte in silenzio, con gli occhi lucidi. Come quando si andava a scuola. Anche perchè di parole non te ne vengono proprio fuori, davanti a quella vecchia carcassa. 
     

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