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    La morte di Raffaele Cutolo e quel legame con il calcio: Juary, l'Avellino e l'indimenticato Luigi Necco

    La morte di Raffaele Cutolo e quel legame con il calcio: Juary, l'Avellino e l'indimenticato Luigi Necco

    • Furio Zara
      Furio Zara
    La morte del boss della camorra Raffaele Cutolo - 79 anni, era ricoverato nel reparto sanitario detentivo del carcere di Parma - riporta alla mente un episodio avvenuto all’alba degli anni ’80, quando il calcio e la camorra incrociavano i loro destini in un territorio di interessi criminali.

    Avvenne questo: il 31 ottobre del 1980 il presidente dell’Avellino Antonio Sibilia - imprenditore di successo più volte indagato per collusione con la camorra ma sempre prosciolto - si recò nel Tribunale di Napoli a Castel Capuano dove si stava tenendo l’udienza del processo a carico di Cutolo, «O’ Professore», il «Don Raffaè» della canzone di De Andrè.

    Sibilia costrinse l’ignaro Juary ad accompagnarlo. Il brasiliano Juary, arrivato alla riapertura delle frontiere nel 1980, all’epoca era l’idolo di Avellino e quell’anno divenne famoso in tutta Italia perché dopo ogni gol festeggiava con un allegro balletto attorno alla bandierina. Sibilia e Juary si avvicinarono alla «gabbia», il presidente salutò con tre baci sulla guancia il boss e il calciatore consegnò a Cutolo un pacchetto. Dentro vi era una medaglietta d’oro da 70 grammi, con incisa la testa di un lupo, il simbolo dell’Avellino. "A don Raffaele Cutolo, con stima. L’Avellino Calcio".

    L’episodio fece scalpore. Se ne interessò anche la magistratura. Si era a quel tempo nel pieno della guerra tra la NCO - la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo - e la Nuova Famiglia, nella quale confluiscono i clan cittadini. Se ne parlò anche nei TG della Rai. E qui entra in scena un altro protagonista, ben noto agli appassionati di calcio. Luigi Necco - se n’è andato ormai tre anni fa, il 13 marzo 2018 - all’epoca era una delle figure imprescindibili di quel favoloso teatrino di vita, opere e miracoli che è stato 90° Minuto. Ma Necco era un signor giornalista, a tutto tondo. Veniva dalla cronaca nera, era competente, serio, credibile. E temuto per le sue inchieste.

    Indagò sugli affari torbidi del presidente dell’Avellino, Antonio Sibilia. Disse chiaro e tondo - durante uno dei suoi servizi sui Lupi - che Sibilia era ammanicato con la Camorra. E questo affronto al presidente-boss non andò giù. Sibilia gliela giurò. Chiese al boss della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo, di "farlo sparare". Cutolo rispose di no, Necco gli stava simpatico ed era troppo popolare; ma in verità Cutolo aveva fatto i suoi conti. Non gli conveniva.

    A gambizzare Necco in un ristorante di Mercogliano - il 29 novembre del 1981, poche ore prima di Avellino-Cesena - ci pensarono tre uomini di Vincenzo Casillo detto ‘O Nirone, luogotenente di Cutolo. Fu un duro colpo per il giornalista Rai. Che però si riprese, ricominciò a lavorare. Rievocando quell’agguato, lo scrittore Roberto Saviano in un’intervista al Corriere della Sera (2 giugno 2011) ha scritto: "Ebbero più paura in quel momento del coraggio di un cronista sportivo che di decine di inchieste giudiziarie in corso".

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