La marcia sulla Roma degli ultrà neofascisti
Il nome somiglia a un manifesto programmatico, dal forte sapore politico: “Padroni di casa”. Dentro c’è la volontà di condizionare tutta la vita di una squadra di calcio e il chiaro riferimento a un movimento, CasaPound, che nella capitale ha assunto una dimensione tentacolare dove si confondono attività lecite dell’associazione e progetti criminali dei singoli adepti.
Che negli spalti degli stadi la presenza dei militanti sia sempre più forte ormai è storia antica, ma quello che sta accadendo all’Olimpico è un fenomeno del tutto nuovo, estraneo al tifo e al sostegno sportivo. Una manovra violenta, messa in azione dentro e fuori la curva Sud, che semina odio tra le sigle del tifo organizzato e intreccia consenso sociale per i veri criminali.
I protagonisti di questa operazione sono comparsi alcuni anni fa, in un angolo nella zona inferiore delle gradinate giallorosse e il loro manipolo si allarga di campionato in campionato. Allo stadio indossano sempre i guanti neri e l’atteggiamento marziale tradisce il loro vero obiettivo: prendere il controllo della curva, trasformandola nella cassa di risonanza per i loro proclami. A fondare “Padroni di casa” è stato infatti un politico di destra, Giuliano Castellino, insieme ad alcuni militanti di CasaPound guidati da Gianluca Iannone.
Entrambi compaiono nelle intercettazioni dell’inchiesta mafia Capitale che ha portato in carcere Massimo Carminati, l’ultimo re della Roma criminale. Il rapporto con il movimento di estrema destra è dimostrato anche dalla sede, ospitata in uno degli edifici occupati da CasaPound, il circolo Futurista di Casalbertone. La storia di questo gruppo di ultrà politicizzato si incrocia con le indagini per l’omicidio di Ciro Esposito, il trentenne tifoso del Napoli raggiunto da un colpo di pistola al petto e morto in ospedale dopo 53 giorni. Era il 3 maggio 2014 e Ciro stava andando all’Olimpico per assistere alla finale di Coppa Italia fra il suo Napoli e la Fiorentina. Di questo omicidio è accusato Daniele De Santis, un uomo legato proprio ai gruppi dell’estrema destra che fanno capo a Castellino. I pm di Roma, Eugenio Albamonte e Antonino Di Maio, hanno chiesto per De Santis il processo davanti ai giudici della Corte d’assise. È stato lui, come dicono molti testimoni, a sparare a Ciro. Lo ha ammesso pure lo stesso imputato, che ha detto - a sua difesa - di aver aperto il fuoco dopo esser stato aggredito.
CRIMINALI SUGLI SPALTI
L’inchiesta per la morte di Ciro ha ricostruito le differenti realtà che popolano gli stadi italiani, mettendo in evidenza due atteggiamenti ben distinti. Quello dei tifosi-ultrà, duri nella loro fede calcistica e talvolta nei confronti con i rivali, ma sempre però in una visione che resta legata alla competizione sportiva e pone limiti alla violenza tollerabile. E quello dei criminali, per i quali il calcio è solo un pretesto per costruire una rete violenta. Un notevole contributo all’indagine dei pm capitolini è stato fornito da alcuni testimoni che hanno assistito al ferimento di Ciro. Nei mesi scorsi almeno in tre si sono presentati spontaneamente davanti ai magistrati: non solo hanno messo a verbale i loro ricordi, ma hanno anche consegnato video e foto raccolti sulla scena del ferimento. Sono tre napoletani, che hanno firmato lunghe deposizioni, dense di dettagli, seppellendo l’omertà che spesso unisce pure le tifoserie avversarie.
«Dopo aver parcheggiato l’auto a Tor di Quinto ho raggiunto a piedi Ciro e ci siamo incamminati verso l’Olimpico», racconta ai pm Domenico Pinto, 31 anni, amico di Ciro, testimone oculare dei fatti: «Ad un tratto sentiamo un’esplosione, ci giriamo e vediamo che c’è una signora in un autobus che grida aiuto. Insieme a Ciro e ad altri ragazzi siamo andati in soccorso dei passeggeri dell’autobus al cui interno molti piangevano e urlavano di paura. Appena ci siamo avvicinati abbiamo visto due o tre persone che scappavano e le abbiamo rincorse».
Secondo Pinto, fra chi fuggiva c’era anche De Santis, che «era in prima linea, era il primo rispetto agli altri suoi complici. Erano vestiti tutti di nero e De Santis aveva berretto e guanti neri. Lo abbiamo rincorso e Ciro lo ha bloccato ed hanno avuto una colluttazione. Improvvisamente De Santis ha tirato fuori una pistola e noi alla vista dell’arma siamo scappati. Pochi secondi dopo abbiamo sentito gli spari che erano in sequenza. Mi sono girato ed ho visto Ciro che si accasciava al suolo. Insieme ad altri ragazzi siamo tornati indietro a soccorrerlo, mentre De Santis impugnava ancora la pistola e minacciava di spararci».
Pinto ricorda quei momenti con Ciro a terra ferito:«Gli sono andato vicino e gli ho chiesto: cosa ti sei fatto? E lui mi diceva: “Mi ha sparato al petto, mi ha sparato!”. E si teneva con la mano il petto, diceva che gli bruciava, che gli faceva male». Ciro ha fatto in tempo a pronunciare queste parole e poi è svenuto. Un’ambulanza lo ha portato in ospedale e dopo 53 giorni di agonia è morto.
De Santis - secondo la ricostruzione dell’accusa - aveva lanciato bombe carta contro un pulman di tifosi napoletani provenienti da Milano e in cui c’erano pure donne e bambini che dopo l’esplosione hanno iniziato a urlare per la paura e a chiedere aiuto. Molte delle persone presenti sull’autobus hanno reso dichiarazioni descrivendo quegli attimi drammatici e in particolare Salvatore Ferrante, originario di Napoli ma residente a Cinisello Balsamo, ha pure fotografato e filmato con il cellulare tutto quello che è accaduto attorno a lui, comprese le scene che si sono svolte pochi secondi dopo gli spari e il ferimento di Ciro Esposito.
Materiali consegnati ai pm, che suffragano l’ipotesi di un’azione collettiva: «La prima ripresa inizia quando alcune persone ed altri in modo circospetto entrano in un vicolo. Sulla destra si nota una sagoma in terra che corrisponde a Ciro Esposito. Il video si interrompe prima che Circo Esposito venga portato fuori dal vicolo. Evidenzio in particolare un soggetto corpulento che all’inizio del video si vede stazionare sull’angolo del vicolo e che in tutto il resto del filmato si vede aggirarsi in quei paraggi senza prendere parte a nessuna azione ma per quello che mi sembra ben attento a vedere quello che succede sia all’interno del vicolo sia all’esterno. Ad un certo punto si nota anche che quella persona fa un cenno verso qualcuno che è posto fuori dal campo della ripresa».
L’azione di De Santis contro i tifosi napoletani sembra essere stata organizzata: l’imputato potrebbe avere avuto dei complici che si notano in alcune delle riprese consegnate dai testimoni e inserite tra gli atti del processo. È forse per questo motivo che il simpatizzante dell’estrema destra accusato di omicidio ha preferito non rispondere alle domande dei pm «perché ha paura per la sua famiglia»? De Santis sostiene infatti che i suoi familiari sono stati minacciati. Ma da chi? Nelle dichiarazioni rese ai magistrati il “camerata” ha ribadito di voler stare in silenzio fino al processo. E poi ha aggiunge: «Se dico adesso è stato Tizio, è stato Caio, che famo? Chi la protegge mi’ madre? Scusi non ce l’ho con voi, sono arrabbiato dentro io per i giornali, perché questi fanno tutto loro. Come la lettera mia (si riferisce ad una missiva che aveva inviato ai pm, ndr) che l’hanno distorta». Se è stato solo lui ad agire, di chi ha paura?
INSULTI ALLA VITTIMA
De Santis parlerà soltanto al momento del dibattimento. Ma il perimetro dell’ambiente in cui si muove è definito dalla solidarietà che una parte significativa degli ultrà giallorossi gli ha tributato. Un’ombra nera che si allunga oltre gli spalti dello stadio romano. De Santis non è stato isolato, ma addirittura protetto. Fino al punto di infangare l’immagine della vittima e dei suoi familiari. Sui muri della città sono prima comparse scritte contro il giovane napoletano assassinato. Poi i camerati vicini a De Santis hanno portato il messaggio dentro l’Olimpico, esponendo uno striscione in sostegno dello sparatore. E tutto inizia a mescolarsi, mostrando la confusione nei rapporti tra tifo sportivo e violenza politica. Ci sono ultrà che non vogliono avere nulla a che fare con un uomo accusato di omicidio e altri che sono pronti a tutto per aiutarlo. Contando su relazioni che vanno oltre la capitale.
Le azioni diffamatorie contro Ciro non arrivano solo dai fascisti romani, ci si mette anche qualcuno di CasaPound di Napoli: una ragazza che è figlia d’arte, cresciuta a fascio e manganello, pubblica su Facebook offese contro Antonella Leardi, la madre di Ciro Esposito accusandola di lucrare sulla morte del figlio con la pubblicazione di un libro. Pochi giorni dopo gli attacchi alla donna si materalizzano con uno striscione vergognoso, esposto durante il match Roma-Napoli proprio nella zona dei “Padroni di casa”. «Affido chi ha scritto quegli striscioni nelle mani di Dio, affinché possa cambiare il loro cuore. Sono ferita da quelle frasi orribili, non sanno cosa voglia dire perdere un figlio così», ha dichiarato Antonella Leardi, una madre coraggio che cerca di trasformare il dramma di suo figlio in una testimonianza contro la violenza. E che per questo è finita nel mirino di persone che hanno perso qualunque senso del rispetto: sembrano conoscere solo l’odio.
CONTRO PALLOTTA
Di fronte a questi episodi sconcertanti, la società giallorossa ha inizialmente preso una posizione cauta: «Non commentiamo gli striscioni, ogni tragedia simile è una sconfitta della società civile, ma non possiamo essere gli interlocutori di chi esprime quei messaggi». Una linea corretta però dal presidente James Pallotta, che ha voluto parlare chiaro definendo gli autori degli striscioni dei «fottuti idioti». È stato l’inizio di un confronto esplicito. Gli «idioti» hanno replicato dalla curva mostrando scritte di insulti al presidente. Che non ha presentato ricorso contro la squalifica della curva decisa proprio a causa di quegli striscioni, lasciando fuori anche l’ala violenta degli ultrà. Gli investigatori stanno accertando se dietro gli attacchi verbali a Pallotta ci siano militanti di destra, legati a CasaPound. Lo stesso gruppo su cui si stanno concentrando gli accertamenti su due intimidazioni contro la società con il lancio di molotov contro due Roma Store, i negozi che vendono magliette e articoli sportivi con il logo giallorosso. Di sicuro, dopo l’esibizione dei cartelli contro Ciro in un ristorante dell’Esquilino c’è stato un festeggiamento che ha unito militanti romani e napoletani di CasaPound: uniti dalla politica, non dal tifo.
Nella capitale la tensione intorno alla Roma è altissima. La parabola discendente della squadra, che dopo avere tallonato la Juve si è fatta superare dalla Lazio, provoca contestazioni accese: l’occasione perfetta per la marcia sulla Roma dei violenti in guanti neri. L’episodio più famoso risale a marzo. Al termine della batosta casalinga di Europa League con la Fiorentina, gli ultrà della Sud inferociti hanno chiamato sotto la curva i calciatori. Come era accaduto proprio nelle ore successive al ferimento di Ciro, quando il napoletano “Genny a Carogna” salì sulla rete per trattare con i giocatori del Napoli. Una scena che si è ripetuta dopo la sconfitta, con gli idoli giallorossi che si presentano a parlare, su impulso di Daniele De Rossi e Francesco Totti. Anche se non si sono sottoposti all’umiliazione di togliere le maglie, si è trattato comunque di una pessima scena, che ha fatto il giro del mondo. Tanto da spingere il Viminale a chiarire una volta per tutte: “mai più sotto la curva”.
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