La ginga di Pelé, l'amplesso del giocoliere
LA GINGA COME FUGA - E allora bisogna tornare alla ginga e a quei mondiali del 1958, in cui Pelé fu protagonista da appena 18enne. Una competizione che sublimò quello stile libero e naïf del gioco brasiliano, che invece qualcuno aveva tentato di annientare per quella sua natura poco accademica e molto selvaggia. La ginga, appunto, che in gergo altro non è che il passo base della capoeira, arte marziale brasiliana che unisce canto, lotta, musica e danza. Era così che si allenavano i deportavi africani in Brasile, mascherando il combattimento dietro passi di danza, al fine di passare inosservati e organizzare piani di fuga.
RITORNO ALLE ORIGINI - Cos’è la ginga nel football? Pelé la spiegò così: “È il fattore decisivo per giocare a calcio, un atteggiamento in cui il valore prevale sulla tecnica, il piacere del gesto è dominante”. È un modo diverso di vivere il calcio, un approccio differente che esalta il talento senza trascurare il sacrificio. Un approccio che fino all’avvento di Pelé, qualcuno, quasi riuscendoci, aveva tentato di annientare. I Mondiali del 1954, furono un fiasco per il Brasile, un nuovo tonfo avrebbe annichilito l’intera nazione e la testa dei calciatori era confusa da concetti che poco avevano a che vedere con la cultura del calcio brasiliano. L’unica salvezza era tornare alle origini, riabbracciare la ginga. Che allo stesso tempo, per i brasiliani, significava riabbracciare le tante diverse culture presenti sul territorio.
LA BATTAGLIA DI O REI - Di fatto, Pelé ha portato la ginga in una nuova dimensione, e con essa l’intero Brasile, che grazie al suo campione ha imparato ad accettare le proprie origini come punto di forza e non come complesso di inferiorità. La ginga ha dato nuova dignità, valori e orgoglio in tutto il Brasile, che ha potuto affrancarsi con nuova consapevolezza e slancio. Pelé ha combattuto questa battaglia su un campo di calcio, con il sorriso di un ragazzino e il cuore di uno leone. Anzi tre.