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La Germania e la legge anti 'fake-news': stop alle calunnie che diventano verità
Post-verità ovvero l’apparenza circolante in rete, che inganna e che non viene arginata; la menzogna che si fa verità, l’accusa ingannevole che diventa condanna. Un vortice grazie al quale coi vari combinati disposti di anonimato, nickname, delocalizzazioni, non si può più di distinguere tra il vero e il falso e ci consegna ad una specie di morbido, ma patologico, totalitarismo della non verità. Soprattutto, almeno ad oggi, di una pressoché impunità nei confronti dei calunniatori, incitatori, mistificatori i quali, in nome della libertà d’espressione, per interesse, per gioco, per depravazione, rovinano reputazioni, infangano persone, falsificano fatti. E, alla fine, crea sudditi creduloni e ignoranti. “Il suddito ideale del regno totalitario - diceva Hannah Arendt – non è il nazista convinto, né il comunista convinto, ma l’uomo per cui la distinzione tra fatti e finzione, e la distinzione tra vero e falso non esistono più”.
La menzogna strategica è attuata soprattutto da una politica che lancia accuse senza comprovarle al fine di screditare i propri avversari. Comincò Karl Rowe (consigliere di Bush junior) e ha continuato, in modo esponenziale, Chris Bannon, già responsabile della comunicazione di Trump e oggi stratega del nuovo Presidente degli Stati Uniti. In società ipermediatizzate senza alcun controllo, la capacità di preparare una visione politica non con argomenti razionali, limitati e comprovabili, bensì raccontando delle storie (più o meno menzognere, mai comprovabili) che restano in rete, è diventata la chiave della conquista e dell’esercizio del potere.
Sul piano personale, la possibilità di denigrare, odiare, infangare una persona con poche righe e un clic, significa la possibilità di danneggiarla fino a distruggerla. La post-verità, insomma, è un esercizio oggi ampiamente alla portata di tutti, che ha effetti realmente distruttivi e perciò ben venga questa prima, seria legge, che prevede multe fino a 50 milioni di Euro in cui potrebbero incorrere i giganti del web come YouTube, Facebook e Twitter se non saranno in grado di arginare, cancellare o rendere inaccessibili minacce, commenti offensivi e diffamanti, menzogne calunniose, incitazioni all’ odio e a reati.
Quando il ministro della Giustizia tedesco Heiko Maas ha annunciato i termini della nuova legge l’Associazione degli Editori tedeschi ha gridato alla censura. Il ministro ha avuto buon gioco, affermando che “la libertà d’opinione finisce là dove comincia la calunnia”. E d’altra parte non ci vogliono né Platone, né Voltaire, né Kant per comprendere che la libertà si fonda sempre sul limite. Altrimenti si chiama in un altro modo.