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    La favola del Brasile d'Europa soffocata nel sangue

    La favola del Brasile d'Europa soffocata nel sangue

    • Leonardo Corsi, procuratore
    Alla confluenza di due mondi -cristiano e ortodosso- sorge sulla Drina un ponte, crocevia di razze, culture, religioni profondamente diverse.
    Eretto per volere del visir Memhed Pascià grazie alla fatica e al sacrificio di molti cristiani, è diventato nel tempo il simbolo dell'oppressione, ferita viva nel cuore dei Balcani.
    Immutato ne è il profilo, come l'acqua che sotto di esso scorre, nel succedersi di generazioni e secoli sconvolti da orrore, calamità e guerre.
    “Sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un solo Tito”.                                          La Grande Jugoslavia nasce all'indomani di Yalta sotto la guida del maresciallo Joseph Broz Tito. Progressivamente, dalla morte del dittatore alla caduta sovietica, si dissolve la repubblica federale socialista sotto la spinta indipendentista: sloveni e croati prima, kosovari e macedoni poi. Parimenti a Belgrado crescono le ambizioni serbe e il fanatismo etnico - religioso nutrito da rancori antichi, mai sopiti. Lungo tutti i novanta nella polveriera d'Europa deflagra un conflitto fratricida alimentato dall'odio razziale, dal ruolo interessato di giocatori terzi sullo sfondo della dissoluzione Urss.
    Nel precipitare degli eventi scompare anche una delle più forti nazionali di sempre, capace di un calcio mai visto nel vecchio continente: “il Brasile d'Europa”, la squadra di Stojkovic, Savicevic, Mijatovic, Mihajlovic, Boban, Jugovic, Boksic, Prosinecki, Suker, Katanec.
    Lo sport, straordinario strumento per la propaganda di regime, ha un ruolo preminente sotto Tito. Cresce e si sviluppa una grande scuola calcistica, frutto della mescolanza di stili e culture. Il "pallone da mattina a sera" è una via di fuga dalla miseria.
    Le strade dissestate sono il terreno di gioco dove si affinano tecnica e controllo. L'ideologia socialista esalta la forza del collettivo sul singolo, il talento è al servizio delle esigenze di squadra. Altruismo, concretezza, efficacia, eleganza minimalista e senza fronzoli: tutte peculiarità del calcio slavo.
    Emerge in tale contesto, sul finire degli anni ‘80, una generazione di talenti senza precedenti che ottiene la prima grande affermazione vincendo il mondiale under 20 a Santiago de Chile. È il 1987, battute Brasile, Germania est e Germania Ovest.  Tenera è la notte a Santiago, proprio come la giovane, talentuosa, inconsapevole squadra pronta a calcare i grandi palcoscenici del calcio. Un destino ben diverso è già sul punto di compiersi.
    Centri di addestramento al confine tra Montenegro e Bosnia preannunciano venti di guerra. Crollo del blocco sovietico, tramonto del comunismo e avvento del nazionalismo segnano la fine: impossibile tenere ancora insieme serbi, croati, sloveni, bosniaci, macedoni.
    Italia ‘90  è l'ultima apparizione mondiale. Gli slavi eliminano la Spagna e si arrendono solo ai rigori contro l'Argentina di Diego, dopo un'intera partita in inferiorità numerica. Incantano il mondo nonostante le assenze dei croati Katanec (minacciato di morte) e Zvonomir Boban, che sconta una squalifica di 6 mesi per aver preso a calci un poliziotto durante un Dinamo Zagabria-StellaRossa del 13 maggio 1990.
    Dallo stadio Maksimir passa la storia jugoslava. Le due tifoserie, fisiologicamente ostili, danno vita ad un'autentica guerriglia. Da molti è considerato il reale inizio del conflitto che sconvolgerà la geografia dei Balcani seminando orrore e morte negli anni a venire.
    Da una parte i Bad Blue Boys croati, gli ultra-nazionalisti di  Tudjman, in seguito primo presidente di  Croazia e criminale di guerra ; dall'altra i Delije (i forti) serbi capeggiati dalla “Tigre Arkan” Zeljko Raznatović, altro spietato genocida.
    Dopo il lavoro sporco svolto in Europa per conto della polizia segreta jugoslava  Arkan, rientrato a Belgrado, inaugura una pasticceria  al primo piano della sua abitazione proprio davanti allo stadio Marakanà. Il locale diventa ben presto luogo di incontro e aggregazione per gli ultras della Stella Rossa,  pretesto  che consente ad Arkan di infiltrarsi tra le frange più estreme del tifo. Da qui  in seguito  recluterà “le tigri” che nell’ottobre del ‘90 formeranno la Guardia Volontaria Serba (SDG). In Bosnia e in Croazia Raznatović e le sue milizie si macchieranno di atroci crimini.                                                                                                                                                                                                                                                         
    Intanto i talenti della Stella Rossa sono protagonisti di partite memorabili: superano Grasshopper, Glasgow Rangers e Dinamo Dresda. Quindi in semifinale liquidano il Bayern Monaco con due prestazioni epiche e a Bari battono ai calci di rigori l’Olympique Marsiglia. La Stella Rossa è campione d’Europa. A Tokyo in dicembre, mentre divampa il conflitto nei Balcani,  il cerchio si completa dopo un 3-0 contro i sudamericani del Colo Colo, vincitori della Libertadores. È il primo club del blocco comunista ad aggiudicarsi la Coppa Intercontinentale. Brillano Jugovic, Mihajlovic, Pancev, Prosinecki, Stojkovic, illuminati dal genio di Dejan Savicevic.
    La nazionale nel contempo, impegnata nel girone di qualificazione ad Euro ‘92, ottiene sette vittorie a fronte di una sola sconfitta, chiudendo al primo posto nel proprio girone. La squadra è decimata dall’assenza  dei croati che nella calda estate del ‘91 dichiareranno la propria  indipendenza. È  comunque una rosa formidabile quella che si appresta a partire per il campionato di Svezia.
    "Ci interessava solo il calcio, niente altro", afferma Prosinecki. Il 31 maggio 1992 la risoluzione 757 del Consiglio di Sicurezza Onu decreta l'embargo contro la federazione  jugoslava di Milosevic e la conseguente esclusione da ogni manifestazione sportiva. A meno di due settimane dall'europeo viene richiamata in fretta e furia la Danimarca,  prima esclusa del girone. Ironia della sorte proprio i danesi trionferanno a Svezia ‘92.  All'apice del suo splendore cessa di esistere la nazionale jugoslava più forte di tutti i tempi. Sembrava destinata alla "grandezza".
    Ancora oggi tra i vecchi nostalgici di Tito qualcuno si commuove al pensiero di ciò  che poteva essere, di ciò che tuttora  sarebbe,  dato il talento fiorente in queste terre maledette, al pensiero di ciò che mai sarà. La Drina trascina via orrori, morte, sogni, speranze…..tutto inghiottito dalle sue torbide acque che restituiscono  rimpianti e rancore.
     
     

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