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    La dedica a Edison, il Maracanazo: chi era Dondinho, il padre di Pelé battuto... quasi in tutto

    La dedica a Edison, il Maracanazo: chi era Dondinho, il padre di Pelé battuto... quasi in tutto

    • Simone Gervasio
    In tutta la sua lunga carriera Pelé ha sempre cercato l’approvazione di un solo uomo: suo padre. João Ramos do Nascimento, noto come Dondinho, è stato l’ispirazione, il mentore e il modello del giovane Dico. E anche un calciatore di ottimo livello: un numero 9 dalle straordinarie doti atletiche, soprannominato per questo 'O Maleável", ovvero "il Malleabile". Pelé viveva nel suo mito e non faceva altro che emularlo. “Mio papà era un giocatore di calcio fantastico, aveva fatto tanti gol di testa. L’unica cosa che volevo che Dio mi desse era giocare tanto bene quanto lui, volevo essere uguale a lui”, diceva spesso nelle sue interviste.



    La carriera di Dondinho fu breve e, spesso, romanzata. Prima di lavorare in un’impresa edile, c’è chi dice che negli anni ’40 fosse riuscito a segnare 893 gol in 774 partite, per altri invece erano poco oltre i 300. Di certo giocò per l’Atletico Mineiro, vinse il il “Campeonato do Interior” per il Bauru nel 1946 e riuscì in un’impresa mai avvicinata neanche da quel prodigio del figlio. Realizzò infatti in una sola partita ben 5 gol di testa, almeno in questo, solo in questo, il padre superò il figlio come calciatore.

    Con la nazionale del Brasile lui non debuttò mai, il piccolo Dico ci ha vinto 3 Mondiali, riscattando la delusione più grande di Dondinho. Nel 1950, nel famoso Brasile-Uruguay, che costò il Mondiale casalingo agli allora non ancora verdeoro e passato alla storia come il Maracanazo, c’era Augusto da Costa. Capitano e centrale di quel Brasile, qualche tempo prima con un intervento durissimo aveva causato l’infortunio al ginocchio che aveva frenato la carriera di Dondinho. La delusione in campo amplificata da quella fuori, da quel giorno in cui un intero Paese era stato messo in ginocchio. Solo 8 anni dopo suo figlio Pelé si prese sulle sue spalle un intero Paese alla ricerca di un riscatto e convinto di non riuscire più a vincere un Mondiale. E arrivò il trionfo in Svezia.

    La figura del padre è centrale nella carriera e nella vita di Pelé. È lui che lo spinge a fare il calciatore, nonostante la ritrosia della madre. Lei un altro calciatore in famiglia proprio non lo voleva. Con il pallone non si campa, diceva, vedendo la vita di stenti che potevano avere ed era un lavoro pericoloso, pieno di infortuni. Dondinho annuiva ma in cuor suo sperava, e forse sapeva, che suo figlio avrebbe potuto scrivere la storia del calcio brasiliano. È a un suo allenamento, quando giocava nel Vasco de Sao Lourenco, che nacque il nomignolo Pelé. Al seguito del padre, Edson s’innamora di Bilé, il portiere della squadra, lo imita, lo incoraggia sempre. “Grande Bilé”, dice sempre, storpiando il nome che diventa poi quello che l’ha reso l’uomo più famoso al mondo. È lui che decide che il suo figliolo si chiamerà Edson, o meglio Edison. Sì perché solo un errore all’anagrafe storpia quello che in realtà era un omaggio a Thomas Edison, l’inventore della lampadina. Erano giorni bui e carichi d’attesa quelli del marzo 1940 quando ad illuminare la scena di Três Corações, Sud-est del Brasile, arrivarono due novità: l’elettricità e il piccolo Edson, un omaggio a un momento storico che porterà la luce anche nel calcio.

    È Dondinho a trasmettere a Pelé tutti i valori, da uomo e calciatore, che lo hanno accompagnato fino alla fine. E lui non ha mai smesso di ringraziarlo.
    "Per me è stato un maestro di vita, di rispetto per il prossimo. Dio mi ha fatto il dono di saper giocare al calcio ma mio padre mi ha insegnato a usarlo, mi ha insegnato l’importanza di essere sempre pronto e allenato, e che oltre a saper giocare bene dovevo essere anche un uomo. Mi aveva dato dei comandamenti da seguire: “Il calcio è per chi ha fegato”, mi diceva che era un organo fondamentale dell’essere umano, come il cuore. E poi che non avrei mai dovuto pensare di essere migliore degli altri”. In realtà lo era, e lo sapeva anche Dondinho.
     

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