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    La battaglia al razzismo è il problema: basta fare finta di nulla

    La battaglia al razzismo è il problema: basta fare finta di nulla

    • Furio Zara
    Nell’anno di grazia 2018 siamo ancora qui a parlare di razzismo negli stadi. E di «buuu» indirizzati ad un giocatore, solo perché il colore della sua pelle è più scuro di quello di chi gli vomita addosso il proprio veleno e la propria frustrazione di fallito. Il caso Matuidi - con il giocatore della Juventus che ha denunciato i cori razzisti subiti a Cagliari - ci riporta tutti indietro all’età della pietra, in un mondo di primitivi senza coscienza di sé e degli altri, gentaglia triste e ignorante ma soprattutto - come le ha definite in un post Matuidi - «persone deboli che cercano di intimidire con l’odio». Certo, sono arrivate, le scuse del Cagliari, i messaggi di solidarietà dei colleghi di Matuidi; è solo mancata la solita impennata di indignazione da parte dei vertici del nostro calcio, per il semplice motivo che i vertici in questo momento non esistono.

    Ne abbiamo tutti abbastanza e ogni volta ci si chiede se sia meglio parlarne e rimettere sul tavolo la questione o invece, più semplicemente, ignorare questi episodi nella speranza - vana visto l’andazzo - che i razzisti si silenzino da soli, nel loro desolato guscio in cui si sono rinchiusi, ostaggio delle proprie paure. Pensiamo che sia meglio parlarne, anche stavolta. Perché da trent’anni a questa parte è lunghissima la serie di insulti razzisti che hanno colpito decine e decine di giocatori. Chi frequenta gli stadi sa benissimo che ad un certo punto, quando quel giocatore di colore toccherà il pallone, partirà il coro offensivo, il «buuu», l’offesa, l’ululato. Il razzismo, la xenofobia (ci siamo già dimenticati di quanto è successo a Roma con gli adesivi di Anna Frank?), la discriminazione etnica (vedi il caso di quel deputato che ha offeso Mihajlovic qualche giorno fa), sono ferite aperte in un mondo - come quello del calcio - che non è ancora riuscito a trovare dentro di sé gli anticorpi per liberarsi di questo male. Per il semplice motivo che - purtroppo - non lo considera un «male», ma lo mette in conto, lo addebita a pochi, non ne fa mai una questione centrale della propria sopravvivenza ma si limita a derubricarlo come l’espressione becera di una minoranza.

    Non è affatto così. E’ una questione di mentalità, di cultura, di conoscenza, di coscienza che si ha del mondo in cui viviamo. Qualcosa (campagne di sensibilizzazione, convegni, spot, prese di posizione più o meno ferme) è stato fatto, ma evidentemente non basta, non è ancora abbastanza. La battaglia contro i razzisti è una questione fondamentale e urgente, non è UN problema, ma è IL problema. Solo quando il mondo del calcio se ne sarà accorto, allora qualcosa potrà cambiare. Altrimenti andremo avanti così, di ululato in ululato, regrediti tutti - quelli che urlano e quelli in silenzio - allo stato bestiale. Anzi no, scusate: le bestie - beate loro - manco sanno cos’è il razzismo.

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