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L'Uomo Ragno è tornato: a Crotone per cancellare i fallimenti da allenatore
E’ un giramondo, pronto a rimettersi ogni volta in gioco. Ha cominciato ad allenare in America - dove aveva smesso la carriera di portiere - ha continuato tra Romania e Emirati Arabi, Serbia e Turchia, vincendo titoli nazionali, facendosi calamitare ogni tanto dall’Italia e sperimentandosi anche in Inghilterra. Ultima panchina: il Wolverhampton. Nella Championship inglese - equivalente alla nostra serie B - è durato 87 giorni e 14 partite, prima di essere esonerato. Ora ci riprova. A Catania il primo anno subentrò a Silvio Baldini ad aprile, fece 8 punti in 7 partite e si salvò. Il secondo anno centrò una salvezza tranquilla, poi se ne andò. A Palermo si presentò dicendo «Siamo qui per stupire l’Italia», tirò in ballo - ma con ironia - lo scudetto, feci mesi di luci e ombre, dall’estate 2009 fino a gennaio 2010. Zamparini disse: «E’ il miglior allenatore che ho mai avuto». Tre giorni dopo lo esonerò. L’ultimo giorno da allenatore italiano è stato il 10 novembre 2015. Stava alla Sampdoria, Ferrero lo cacciò senza pensarci su tanto. Era stato lo stesso Ferrero, pochi giorni prima, a giurare: «Se amate la Samp come la amo io, giù le mani da Zenga». Come no. Sulla panchina blucerchiata durò 14 partite, fatale l’eliminazione - ai preliminari - in Europa League contro il Vojovodina.
Nella sua autobiografia, «Coach», Zenga stila un decalogo di regole. Eccone un paio. Punto 2: Sbaglia con la tua testa e con le tue scelte. Ascolta, ma realizza il tuo piano. Punto 6: allenare è come cucinare: serve saper dosare con cura i vari ingredienti. Ad un certo punto scrive che «noi coach siamo inutili quando non stiamo allenando una squadra». Zenga riparte. A Crotone. Per l’ennesima sfida della sua carriera. Qualcuna l’ha vita, altre le ha perse. Ma non ha mai smesso di sentirsi l’«Uomo Ragno».