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L'Unione Europea spinge per il salario minimo anche in Italia: cosa cambia per i nostri lavoratori?
Dopo diversi anni di dibattito, l’Unione Europea ha finalmente raggiunto un accordo per fissare salari minimi adeguati ed equi attraverso lo sviluppo della contrattazione collettiva. Quest’ultima indica accordi e vincoli contrattuali volti a stabilire i parametri dei contratti di lavoro individuali e la direttiva UE chiede di fissarla per una soglia tra il 70% e l’80% dei lavoratori.
L’Italia è tra i 6 Stati membri – gli altri sono Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia – a non avere ancora una regolamentazione in materia ma non ha l’obbligo di attuare la direttiva comunitaria perché i contratti collettivi di lavoro coprono già circa l’80% dei lavoratori. Nonostante ciò, il commissario UE al lavoro, Nicolas Schmit (foto Ansa), è fiducioso e crede che governo e parti sociali riusciranno a raggiungere un buon accordo per introdurre il sistema salariale minimo anche nel Belpaese. In realtà, le forze politiche italiane sono ancora abbastanza lontane dal trovare la quadra: se Movimento 5 Stelle e Pd spingono per un’approvazione in tempi rapidi, il centrodestra pensa che il salario minimo sia contro la storia culturale italiana, fatta di relazioni industriali e produttività. Eppure una soluzione va trovata: secondo i dati Inps, infatti, sono ben quattro milioni e mezzo i lavoratori italiani che guadagnano meno di 9 euro lordi l’ora, la soglia minima fissata dal Ddl Catalfo, ora fermo al Senato.
Si potrebbe pensare, quindi, di introdurre un intervento per il restante 20% dei lavoratori rimasti fuori dalla contrattazione collettiva e impegnarsi ad aumentare il salario di quei due milioni di lavoratori che percepiscono solo 6 euro l’ora. È importante, dunque, che si rispetti il welfare di ogni Stato e che si valuti l’adeguatezza di una misura del genere anche a livello legale e in base a criteri numerici (come comportarsi con contributi, Tfr e tredicesime?) ma è altrettanto importante che si inizi a riflettere sui tanti contratti precari esistenti e sulle diseguaglianze che questi portano. Agli scettici, i quali credono che il salario minimo possa aumentare povertà e disoccupazione, Schmit risponde dicendo che, innanzitutto, la direttiva non punta a prevedere massimi e minimi salariali in maniera rigida e che in Germania questa misura ha persino aumentato l’occupazione.
Se è difficile prevedere adesso gli sviluppi futuri, si può sicuramente dire che il salario minimo è uno step potenzialmente importante per garantire a tutti un tenore di vita dignitoso e proteggere le classi sociali più fragili.
L’Italia è tra i 6 Stati membri – gli altri sono Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia – a non avere ancora una regolamentazione in materia ma non ha l’obbligo di attuare la direttiva comunitaria perché i contratti collettivi di lavoro coprono già circa l’80% dei lavoratori. Nonostante ciò, il commissario UE al lavoro, Nicolas Schmit (foto Ansa), è fiducioso e crede che governo e parti sociali riusciranno a raggiungere un buon accordo per introdurre il sistema salariale minimo anche nel Belpaese. In realtà, le forze politiche italiane sono ancora abbastanza lontane dal trovare la quadra: se Movimento 5 Stelle e Pd spingono per un’approvazione in tempi rapidi, il centrodestra pensa che il salario minimo sia contro la storia culturale italiana, fatta di relazioni industriali e produttività. Eppure una soluzione va trovata: secondo i dati Inps, infatti, sono ben quattro milioni e mezzo i lavoratori italiani che guadagnano meno di 9 euro lordi l’ora, la soglia minima fissata dal Ddl Catalfo, ora fermo al Senato.
Si potrebbe pensare, quindi, di introdurre un intervento per il restante 20% dei lavoratori rimasti fuori dalla contrattazione collettiva e impegnarsi ad aumentare il salario di quei due milioni di lavoratori che percepiscono solo 6 euro l’ora. È importante, dunque, che si rispetti il welfare di ogni Stato e che si valuti l’adeguatezza di una misura del genere anche a livello legale e in base a criteri numerici (come comportarsi con contributi, Tfr e tredicesime?) ma è altrettanto importante che si inizi a riflettere sui tanti contratti precari esistenti e sulle diseguaglianze che questi portano. Agli scettici, i quali credono che il salario minimo possa aumentare povertà e disoccupazione, Schmit risponde dicendo che, innanzitutto, la direttiva non punta a prevedere massimi e minimi salariali in maniera rigida e che in Germania questa misura ha persino aumentato l’occupazione.
Se è difficile prevedere adesso gli sviluppi futuri, si può sicuramente dire che il salario minimo è uno step potenzialmente importante per garantire a tutti un tenore di vita dignitoso e proteggere le classi sociali più fragili.