L'Italia di Lippi per consolarci: 12 anni fa l'estate più felice della nostra vita
Furio Zara
Nell’ultima estate felice della nostra vita di tifosi azzurri c’è Fabio Grosso che prende la rincorsa da un punto lontanissimo della sua vita, e della nostra. Siamo a Berlino, succede dodici anni fa. 9 luglio 2006. Nel riquadro della televisione si vedono Cannavaro e Pirlo vicini, scopriremo poi che un attimo prima - con Grosso che sistema il pallone sul dischetto - il 'Maestro' sta chiedendo al capitano: "Ma se Fabio segna, siamo campioni del mondo?". Sì, ragazzi. Campioni del mondo. Per la quarta volta nella nostra storia. Sembra ieri. No, sembra una vita fa. Si invecchia più in fretta, quando si sta seduti sul divano - quando si sprofonda sul divano - a guadare col telecomando in mano i Mondiali degli altri, per scoprire se ci piace di più Mbappè o Hazard, Modric o Kane. 9 luglio 2006. Quell’estate fu uno spartiacque tra un prima e un dopo perché - ricordate vero? - fu l’onda lunga e velenosa di Calciopoli ad accompagnare la nazionale in Germania, e c’era persino una corrente di pensiero che pre-ten-de-va che gli azzurri rimanessero a casa, rifiutassero di andare al Mondiale, si incatenassero virtualmente i piedi per espiare le colpe, per mondare il luridume di quei tempi intercettati. La finale - quella finale con la Francia - fu un riassunto della bellezza dolorosa del calcio, una messa in scena tragica e definitiva di quello che può regalare il pallone. Ci regalò un sorriso, alla fine; mentre Zidane sfilava triste accanto alla coppa, umiliato dalla telecamera - non dall’arbitro - dopo aver rifilato la più tremenda e stupida delle capocciate sullo sterno di Materazzi. Una sola partita di quel Mondiale - al netto della finale - merita di entrare nella leggenda, sì, quella con la Germania, con i gol nei supplementari di Grosso - eroe di un’estate - e Del Piero. A Dortmund diventammo campioni del mondo, ci facemmo amica la fortuna. Avevamo vinto il nostro girone battendo Ghana e Repubblica Ceca e pareggiando con gli Stati Uniti, agli ottavi superammo con molta fatica (rigore di Totti) un’Australia mai doma, agli ottavi fu tutto molto semplice, rifilammo un 3-0 senza storia all’Ucraina, della semifinale abbiamo detto, la finale è un film di cui non abbiamo ancora capito bene la sceneggiatura. Tutto molto bello, tutto molto italiano. Dalla polvere alle stelle, con una squadra che fu la migliore per come seppe affrontare le diversità e reagire di fronte agli schiaffi del vento. Sappiamo che i Mondiali segnano le nostre vite, sono post-it lasciati sul frigo della memoria collettiva che ci dicono chi e dove eravamo in quel momento lì. Ecco allora che i più giovani ricordano con nostalgia quella straordinaria estate di dodici anni fa come il momento più bello del nostro calcio; mentre la generazione prima di loro non ammette paragoni con il trionfo Mundial del 1982. Non si fanno classifiche con le emozioni, ricordiamo sempre con una fitta al cuore soprattutto i nostri anni giovani, quando tutto era ancora possibile. Dodici anni dopo i Mondiali si sono tenuti lo stesso, anche senza l’Italia. Sarà bene ricordarcelo, anche in futuro. Il rimpianto è una fitta, la nostalgia è sempre canaglia, quell’Italia di Lippi è diventata un poster da guardare per consolarci: ci siamo stati anche noi sul tetto del mondo. Succedeva nell’ultima estate felice della nostra avventura di tifosi azzurri, con Fabio Grosso che prende la rincorsa da un punto lontanissimo della sua vita, e della nostra.