Renato Zero: lo stadio di Pietrasanta, le cantine e i sorcini. E stasera Sanremo
E’ una piccola storia di grande amicizia e di autentici sentimenti. E’ una storia vera, soprattutto. Quindi, a differenza di quelle che si possono trovare nei libri di favole per bambini, non ha il lieto fine dove tutti vissero felici e contenti. Si conclude con un sapore agrodolce che è poi quello della nostra vita. E proprio per questo dovrebbe piacere. Uno dei due protagonisti lo vedremo questa sera sul palco dell’Ariston impegnato a raccontarsi e a cantarsi con addosso la sua corona di “re dei sorcini”. Una curiosa razza di bipedi musicofili che da trent’anni seguono ciecamente il leader il quale, a sua volta, festeggia proprio oggi il mezzo secolo di attività artistica. Dopo la Pausini e Ramazzotti, ecco dunque Renato Zero (foto lanazione.it) completare a Sanremo la troika dei grandi cavalli di razza del Made in Italy da esportazione.
Ma lui, Renato, ha in più rispetto ai colleghi una incredibile e picaresca storia alle spalle fatta anche da tribolazioni e umiliazioni assortite. Trattasi di genio. E come tutti gli intelletti speciali, sempre un poco visionari, anche lui costretto a battersi con ogni tipo di arma per averla vinta su nemici sleali e servili. Quelli che, incontrandolo lungo i primi passi, gli urlavano: “A’ Renà tanto tu sei uno zero”. Una provocazione burina e maleducata alla quale la “vittima” decise di rispondere con un’altra provocazione ma intelligente. E fu così che nacque Renato Zero. Un tipo decisamente ad arte. Fin troppo a parte. Le sue non erano semplici canzoni, ma ballate intessute con i fili dell’anima oltreché segnate sullo spartito.
Il suo “look” poi addirittura imbarazzante per i perbenisti e per i tartufi della società. “En travesti”, Zero cantava la sua protesta a favore dei deboli, degli emarginati, dei diversi e contro le dilaganti tendenze verso le ovvietà più banali e meschine. Era persino naturale che il Sistema lo rifiutasse come un corpo estraneo e pericoloso. La sua sala di incisione era un locale malmesso in affitto nella borgata. Il suo teatro era un localino seminascosto come il “Ciak” dove si faceva ottima musica perlopiù clandestina. Le famose cantine romane. E fu dentro una di quelle “boite” che lo senti suonare e cantare l’uomo che gli sarebbe diventato amico e mentore. Ho avuto la fortuna di avere uno zio fuori dal comune. Si chiamava Sergio, il fratello di mio padre Pino, anche se all’anagrafe risultava come Antonio. La prima di altre e tante incredibili stranezze. Avesse saputo dipingere sarebbe stato un maestro del colore. Avesse saputo scrivere avrebbe almeno concorso per il Pulitzer. Avesse saputo dare il giusto valore al denaro, sarebbe stato un paperone. E via discorrendo. Invece aveva fiuto. Un grande fiuto che gli permetteva di percepire il profumo da successo da lontano mille miglia.
Grazie a lui, che la scoprì in una balera romana, la scatenata Baby Gate diventò la raffinata e inimitabile Mina sul palco de La Bussola di Focette. E fu così che, dopo quella notte al Ciak, Renato intraprese la strada che lo avrebbe trasformato da er “Signor Zero” al Grande Renato Zero. Proprio davanti alla Bussola i due amici coniarono la griffe “sorcini” perché i fans di Renato, così compatti e brulicanti, sembravano proprio tanti topolini senza freni davanti al loro re. Per parecchi anni il cantante bazzicò la Versilia e, in inverno, era possibile sorprenderlo dentro lo stadio del Pietrasanta che, proprio con Sergio Presidente, arrivò a conquistare la Serie C per la prima e unica volta nella sua storia. Il re dei sorcini portava fortuna alla squadra .
Infine, una spruzzata di limone sul miele. L’agro sul dolce, appunto. Nel primo pomeriggio del 2 di ottobre di ventidue anni fa, l’automobile sulla quale viaggiava Sergio in direzione Torino sbandava sulla pioggia per la manovra azzardata di un camion e si schiantava contro il guardrail. Morì all’ospedale di Asti, il patròn di Bussola e di Bussoladomani dove anche Mina e Zero erano stati mattatori. Renato non potè trattenerlo, naturalmente, ma in un video che ciascuno può trovare in Rete sulle note de “Il carrozzone” mise un recitativo tutto dedicato all’amico. Comincia così: “Ciao, Sergio, come stai?”…
Ma lui, Renato, ha in più rispetto ai colleghi una incredibile e picaresca storia alle spalle fatta anche da tribolazioni e umiliazioni assortite. Trattasi di genio. E come tutti gli intelletti speciali, sempre un poco visionari, anche lui costretto a battersi con ogni tipo di arma per averla vinta su nemici sleali e servili. Quelli che, incontrandolo lungo i primi passi, gli urlavano: “A’ Renà tanto tu sei uno zero”. Una provocazione burina e maleducata alla quale la “vittima” decise di rispondere con un’altra provocazione ma intelligente. E fu così che nacque Renato Zero. Un tipo decisamente ad arte. Fin troppo a parte. Le sue non erano semplici canzoni, ma ballate intessute con i fili dell’anima oltreché segnate sullo spartito.
Il suo “look” poi addirittura imbarazzante per i perbenisti e per i tartufi della società. “En travesti”, Zero cantava la sua protesta a favore dei deboli, degli emarginati, dei diversi e contro le dilaganti tendenze verso le ovvietà più banali e meschine. Era persino naturale che il Sistema lo rifiutasse come un corpo estraneo e pericoloso. La sua sala di incisione era un locale malmesso in affitto nella borgata. Il suo teatro era un localino seminascosto come il “Ciak” dove si faceva ottima musica perlopiù clandestina. Le famose cantine romane. E fu dentro una di quelle “boite” che lo senti suonare e cantare l’uomo che gli sarebbe diventato amico e mentore. Ho avuto la fortuna di avere uno zio fuori dal comune. Si chiamava Sergio, il fratello di mio padre Pino, anche se all’anagrafe risultava come Antonio. La prima di altre e tante incredibili stranezze. Avesse saputo dipingere sarebbe stato un maestro del colore. Avesse saputo scrivere avrebbe almeno concorso per il Pulitzer. Avesse saputo dare il giusto valore al denaro, sarebbe stato un paperone. E via discorrendo. Invece aveva fiuto. Un grande fiuto che gli permetteva di percepire il profumo da successo da lontano mille miglia.
Grazie a lui, che la scoprì in una balera romana, la scatenata Baby Gate diventò la raffinata e inimitabile Mina sul palco de La Bussola di Focette. E fu così che, dopo quella notte al Ciak, Renato intraprese la strada che lo avrebbe trasformato da er “Signor Zero” al Grande Renato Zero. Proprio davanti alla Bussola i due amici coniarono la griffe “sorcini” perché i fans di Renato, così compatti e brulicanti, sembravano proprio tanti topolini senza freni davanti al loro re. Per parecchi anni il cantante bazzicò la Versilia e, in inverno, era possibile sorprenderlo dentro lo stadio del Pietrasanta che, proprio con Sergio Presidente, arrivò a conquistare la Serie C per la prima e unica volta nella sua storia. Il re dei sorcini portava fortuna alla squadra .
Infine, una spruzzata di limone sul miele. L’agro sul dolce, appunto. Nel primo pomeriggio del 2 di ottobre di ventidue anni fa, l’automobile sulla quale viaggiava Sergio in direzione Torino sbandava sulla pioggia per la manovra azzardata di un camion e si schiantava contro il guardrail. Morì all’ospedale di Asti, il patròn di Bussola e di Bussoladomani dove anche Mina e Zero erano stati mattatori. Renato non potè trattenerlo, naturalmente, ma in un video che ciascuno può trovare in Rete sulle note de “Il carrozzone” mise un recitativo tutto dedicato all’amico. Comincia così: “Ciao, Sergio, come stai?”…