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  • L'ex Giuseppe Lelj ricorda: 'Il nostro calcio era diverso'

    L'ex Giuseppe Lelj ricorda: 'Il nostro calcio era diverso'

    • L.C.
    A sentirlo parlare sembra di avere di fronte un vicentino doc. Sì, perché la cadenza è proprio quella veneta, tranne per qualche leggerissima sfumatura colognese, percettibile solo a un orecchio attento. Per il resto Giuseppe Lelj, naturalizzato Beppe a Vicenza, è perfettamente integrato nell’operoso nord-est, dove svolge l’attività di imprenditore nel settore della pelletteria. Altri tempi quando partiva da Roseto con una valigia di belle speranze, era un difensore grintoso. Che si è fatto strada fino ad arrivare in serie A. Erano gli anni Settanta, un altro calcio che Lelj racconta al Centro.
    Lelj, anche il suo cognome sembra si sposi perfettamente con il territorio dove si è trapiantato.
    «È vero, ho un cognome molto particolare; con quella “j” finale che facevo fatica a far comprendere ai miei interlocutori senza il classico esempio: J come Juventus».
    I bianconeri li ha solo incontrati da avversario: indimenticabili i suoi duelli aerei con Pietro Anastasi.
    «Sì, mi sono dato da fare in quegli anni, come dimostrato anche dai molti infortuni che hanno costellato la mia carriera. Ma non ho nessun rimpianto: anche questo fa parte del gioco. Resta la grandissima soddisfazione per aver giocato in bellissime città con grandi giocatori e uomini veri».
    Infortuni dovuti anche del suo gioco grintoso: non a caso la chiamano ancora oggi la “Roccia d’Abruzzo”.
    «Il nostro era un calcio molto diverso fatto più di contatto e di fantasia. Di quello attuale mi piace l’organizzazione e la preparazione psicofisica, ma non gli schemi, il pressing asfissiante e la distanza con i tifosi. Oggi il calcio è diventato un’industria al servizio di televisione e sponsor: se vuoi vendere un prodotto devi creare spettacolo, ma non mi sembra proprio che il calcio stia dando spettacolo sotto molti aspetti».
    Come tutti i ragazzi di Cologna Spiaggia (una frazione di Roseto degli Abruzzi) anche lei ha mosso i primi passi nel mondo del pallone approdando al grande vivaio di Giulianova.
    «Ho esordito in serie C1 nel lontano campionato 1971/72 con allenatore Capelli. Dopo altri due anni di serie C (uno con Fabbri e l’altro con Fortini) salgo agli onori della cronaca con il trasferimento alla Fiorentina di Nereo Rocco. Tutto dovuto probabilmente al buon rendimento in campionato e alle buone prestazioni fatte in nazionale di serie C con allenatore il compianto Enzo Bearzot».
    La sua prima stagione di serie A è costellata da qualche infortunio di troppo, ma culmina con la vittoria della Coppa Italia…
    «...e da una distorsione al ginocchio con interessamento del menisco. Segue la stagione alla Sampdoria (serie A) con salvezza».
    Quindi finalmente il Lanerossi Vicenza…
    «…e la serie B. Ma ritrovo il mio maestro, Giovan Battista Fabbri, e sotto la sua guida vinciamo il campionato e conquistiamo il secondo posto in serie A negli splendidi anni del Real Vicenza».
    Con Vicenza è stato amore a prima vista tanto che ha deciso di rimanere.
    «Finito con il pallone entro nel mondo del lavoro e, grazie all’aiuto del papà di mia moglie, inizio a commerciare all’ingrosso con piccola pelletteria e accessori di abbigliamento. Dopo qualche anno rientro nel calcio come allenatore dilettante; intanto mi sono stabilito a Vicenza e la famiglia cresce con due splendidi maschi dei quali uno mi ha fatto diventare nonno».
    Quindi per lei oggi il calcio è solo un bel ricordo?
    «Assolutamente no, anzi. Sono ospite fisso come opinionista in una emittente televisiva del Veneto (TvaVicenza, ndc), inoltre sono fondatore e presidente della “Nobile Provinciale”: una società cooperativa di Vicenza che ha l’obiettivo di acquisire un capitale sociale in grado di acquistare la maggioranza delle azioni del Vicenza calcio Spa, il tutto attraverso l’azionariato popolare».
    Un obiettivo ambizioso, ma altrettanto raggiungibile?
    «Insieme al mio amico Giorgio Carrera (ex difensore della Lanerossi Vicenza, ndc) crediamo sia il nuovo che possa salvare il calcio italiano e siamo sostenuti in questo progetto da tanti ex calciatori: uno per tutti, Paolo Rossi, campione del mondo con la nazionale di Bearzot nell’82 e mio compagno nel Vicenza».
    Insomma, volete ripetere quanto già fatto a Torino con lo Juventus Stadium.
    «Il futuro è quello, anche se è assai difficile cambiare la mentalità della gente. Bisogna realizzare degli stadi dotati di impianti polivalenti che siano di proprietà delle società che si occuperanno della gestione. Tutto il resto appartiene ai tifosi e alle città: la storia non si compra».
    Una filosofia che sembra tingersi anche di giallorosso.
    «Mi fa piacere sapere che a Giulianova qualcosa si stia muovendo e il 19 aprile sarò presente alla festa organizzata in ricordo della storia dei colori giallorossi per riabbracciare gli amici di tante gioie sul rettangolo di gioco. Non sono un mago di Facebook, ma grazie alla rete sono in contatto con moltissimi compagni e avversari di un tempo tra cui un altro abruzzese purosangue come Luciano Miani (di Chieti, ndc) che è tornato nella sua terra natale».

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