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    Juventus-’ndrangheta: Agnelli in aula come testimone, ecco il motivo

    Juventus-’ndrangheta: Agnelli in aula come testimone, ecco il motivo

    Il presidente della Juve, Andrea Agnelli, dovrà comparire di fronte al tribunale di Torino il 15 maggio, come testimone. Ad ascoltarlo ci sarà il gup Giacomo Marson in merito al processo Alto Piemonte, riguardante le infiltrazioni di famiglie mafiose - appartenenti alla ’ndrangheta - nella Regione e nella curva bianconera. Una decisione che, come riporta il Corriere, è stata presa dopo due ore di camera di consiglio, e con cui il giudice dell'udienza preliminare ha di fatto accolto le richieste dei legali degli imputati Saverio e Rocco Dominello, rispettivamente padre e figlio.
    IL PROCESSO - Agnelli è stato ammesso dal gup Marson come testimone al processo sul modello di alcune sentenze della Cassazione, precisamente del 2014 e del 2016. La prima stabilisce che, in caso di richiesta di abbreviato condizionato, 'la prova integrativa debba essere necessaria, indispensabile sul piano logico e valutativo' e la seconda che - nel caso in cui l’imputato debba rispondere di più contestazioni - la condizione richiesta debba obbligatoriamente essere abbastanza dirimente e totalizzante, visto che in ogni caso la sede naturale della raccolta delle prove è il dibattimento e non il processo in abbreviato.

    I MOTIVI DELLA CONVOCAZIONE - La richiesta, portata avanti dai legali di Dominello, al gup è stata questa: rito abbreviato solo in caso di audizione di Agnelli e di Loris Grancini, capo dei Viking (gruppo ultrà Juve). Un procedimento giustificato così dall'avvocato di Dominello, Domenico Putrino: "Lo abbiamo fatto a inizio udienza per dimostrare, come emerso dagli atti processuali, quanto era uscito dalle intercettazioni tra Agnelli e il suo legale, Luigi Chiappero, conversazioni nelle quali Agnelli ammette incontri con il mio assistito. E quegli incontri erano per questioni non mafiose, noi questo vogliamo dimostrare. La procura non si è opposta alla nostra richiesta. Ci interessa sentire anche Grancini per far capire che i biglietti venivano consegnati in grandi numeri dalla società agli ultrà. Questa era una cosa normale. Una consuetudine, che però avveniva non per una questione di mafia".

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