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    Juventus-Allegri, cala il sipario: trofei, filosofia e un declino preoccupante

    Juventus-Allegri, cala il sipario: trofei, filosofia e un declino preoccupante

    • Gabriele Stragapede
    "Sono tornato perché era una sfida. Dopo cinque anni ho lasciato una squadra che aveva fatto la storia. Ho fatto un errore di presunzione pensando di tornare subito a vincere (spoiler: alla fine l'ha fatto). Era una sfida mia personale. Ero rimasto male dopo Juventus-Ajax ma questo è il calcio, non si può sempre vincere né perdere”.

    Parlava così Massimiliano Allegri, durante un’intervista a 360 gradi rilasciata a DAZN durante il corso della scorsa estate. Era un tecnico determinato, pronto ad affrontare una stagione sì complessa (dopo i 10 punti di penalizzazione decisi e inflitti dalla Corte Federale d’Appello, a seguito del primo filone della vicenda plusvalenze), priva di competizioni continentali – per il motivo di cui sopra - ma dalle grandi e precise ambizioni: il ritorno in Champions League, la qualificazione al primo e nuovo Mondiale per Club (che si svolgerà nell’estate 2025) e il successo in Coppa Italia. Il primo traguardo è stato raggiunto grazie al successo casalingo dell’Atalanta per 2-1 sulla Roma, il secondo era stato consolidato dopo la prematura uscita di scena di Milan, Napoli e Lazio dalla coppa dalle grandi orecchie, il terzo è arrivato nella notte dell'Olimpico, con i bianconeri vittoriosi sulla formazione di Gasperini per 0-1. E così, da vincente, cala il sipario sul secondo stint dell’allenatore livornese sulla panchina della Vecchia Signora.

    UNA SCELTA GIA' FATTA – Infatti, la sensazione che filtrava dall'ambiente bianconero era che la scelta fosse stata ormai presa: un divorzio dall'allenatore toscano con Thiago Motta in netta pole position per la sua successione. Giuntoli aveva deciso di voltare pagina, assicurando di voler dare linfa al nuovo corso sostenibile della Juventus. Una decisione finale che andava solo comunicata a Massimiliano Allegri, una scelta che è stata resa nota allo stesso tecnico e ai media proprio nei giorni successivi alla finale di Coppa Italia, di questo ritorno alla vittoria di un trofeo dopo tre anni. Una scelta ponderata con fermezza dalla dirigenza bianconera, poiché la stagione della Juve di Allegri sarà virtualmente conclusa e i bilanci potranno essere stilati. Non c’era via di uscita. Ma, va sottolineato, è stata una scelta resa più semplice dai vari di comportamenti tenuti dal tecnico livornese. Una decisione definitiva arrivata oggi.

    ADDIO MAX - La società bianconera, infatti, contrariata per quanto successo tra l'allenatore e il direttore di Tuttosport Vaciago, ha deciso di esonerare Massimiliano Allegri con effetto immediato. Impossibile andare avanti anche dopo gli inequivocabili episodi di nervosismo del post-partita della finale dell'Olimpico contro l'Atalanta (che è valsa la 15esima Coppa Italia della storia della Juventus), con l'espulsione di Allegri che ha preceduto il danneggiamento delle attrezzature LaPresse, i gesti nei confronti - probabilmente - di Giuntoli e la lite con Guido Vaciago, direttore di Tuttosport. Comportamenti definiti inaccettabili dalla dirigenza piemontese, che ha dunque sollevato dall'incarico l'ex tecnico del Milan.

    UN'OPERAZIONE AL RISPARMIO – Chiaro che, al di là di tutti gli obiettivi centrati e degli episodi citati, Massimiliano Allegri aveva ormai capito di non far più parte dei piani futuri della nuova dirigenza. Un pensiero assodato e compreso, ma non per questo accettabile con immediato e rinnovato entusiasmo. Allegri, infatti, prima della comunicazione dell'esonero avvenuta oggi, non aveva alcuna intenzione di rinunciare ai bonus economici e allo stipendio previsti dal contratto che legava lui e il suo staff alla Juventus e che era valido fino al 30 giugno 2025. E' toccato dunque a Cristiano Giuntoli esonerare il tecnico.

    ALLEGRI, IL MIGLIORE NEL NUOVO MILLENNIO – Ma non solo i traguardi o il senso di compiutezza e di massimizzazione del materiale a disposizione ad aleggiare nei pensieri di Allegri. Il sentimento condiviso è che, come lui, negli ultimi 25 anni di Juventus non ci sia stato nessuno. A partire dai risultati personali: primo tecnico della storia della Serie A a tagliare e superare ufficialmente il traguardo dei 1000 punti, 420 partite (con 270 vittorie all’attivo) a guidare la Juventus dalla sua panchina, ma soprattutto i traguardi raggiunti in questa doppia avventura vissuta a Torino, sponda bianconera. Il palmarès, d’altronde, parla da solo: 5 Scudetti consecutivi centrati tra il 2015 e il 2019, 5 Coppe Italia (di cui 4 vinte consecutivamente che lo rendono l'allenatore più vincente della competizione, avendo superato, con l'ultimo successo, Mancini e a Eriksson fermi a quota 4) e 2 Supercoppe Italiane ben custodite al J Museum per un primo quinquennio di puro dominio in ambito nazionale, a cui aggiungere anche le due finali di Champions League raggiunte, ma poi perse per mano di corazzate come Barcellona e Real Madrid, ma che hanno dato un notevole impulso e boost al fatturato del club.

    NON SOLO TITOLI – Tuttavia, il mondo bianconero non deve ringraziare Allegri solo per i traguardi raggiunti in patria e in Europa. Dopo i due anni vincenti vissuti con Conte, il tecnico livornese ha ampliato il lavoro svolto dall’allenatore salentino, rendendo la sua Juventus ancor più pragmatica, risultatista e vincente, portandola a dominare per anni in Italia. Ma più che sui trofei e i primati, all’allenatore ex Milan va dato merito anche di essere ritornato al comando di una squadra che, dopo il biennio vissuto tra Sarri e Pirlo, aveva sì vinto, ma perso buona parte dell’identità. Con esperienza, cultura del lavoro, passione per la sua professione e per la Juventus, pur avendo tutto da perdere (e rifiutando una proposta astronomica dall’Arabia Saudita e il Real Madrid, con il quale era in procinto di firmare un pre-contratto), alla prima chiamata di Andrea Agnelli, ha riportato la Juventus a essere Juventus.

    IL RITORNO DELLA FILOSOFIA - A modo suo, dopo il Sarri-ball e il fallimento Pirlo, Allegri ha ridisegnato la Juve, rendendola nuovamente quel saliscendi di emozioni che ha sempre unito o diviso l’Italia del tifo calcistico e non. Allegri non ha cambiato nulla del suo approccio al mondo bianconero, ritornando a far echeggiare quel monito, quella filosofia tanto cara a questo ambiente: il fine giustifica i mezzi, ovvero il risultato conta più della prestazione e vincere, alla Juventus, è l’unica cosa che conta. Allegri ha continuato a lavorare sodo, anche in condizioni meno favorevoli rispetto al passato e alla prima esperienza, tenendo alta l’asticella della qualità necessaria per indossare la maglia della Juventus in prima squadra per tutti quei giocatori importanti passati tra le sue mani (Rabiot, Danilo, Vlahovic, Bremer, Szczesny, Chiesa), per quei giovani lanciati (Soulé, Barrenechea, Miretti, Fagioli, Yildiz) che tanto bene hanno fatto in maglia bianconera o altrove e per quei fedelissimi (come De Sciglio e Alex Sandro) che hanno sempre contribuito alla causa della Vecchia Signora.

    COSA PESA SULL’ADDIO – Ma come ogni lunga e complessa storia d’amore, anche su questa cala il sipario. A pesare, tra le altre cose, è l’inflessione subita da questa squadra, entrata in Champions per demeriti altrui, più che per meriti suoi: da febbraio è irriconoscibile, con 15 punti in 15 partite. Quella attuale è la Juventus peggiore degli otto anni di Massimiliano Allegri in Serie A dopo 36 giornate: soltanto 67 punti. In 17 incontri, la Juventus ha conquistato appena 21 punti, una media di 1.23 punti a partita. Si tratta del 3° peggior risultato degli ultimi 50 anni bianconeri. Ma non è tutto: l’Allegri-bis ha ormai toccato il punto più basso della sua gestione. È un problema di idee e di incapacità nel far notare quel divario tecnico che c’è con le altre squadre, un divario assottigliatosi, quasi annullatosi. I dettami di Allegri non vengono più recepiti dalla rosa e, a rendere ancora più complicato, lo scenario è quella decisione ormai presa da tempo da Giuntoli di voltare pagina. Un rapporto, fatto di dichiarazioni e stoccate velate, mai davvero idilliaco, mai in piena sintonia (anche per la natura con il quale è nato: il tecnico non è stato scelto dal proprio direttore sportivo, un dettaglio di non poco conto). E allora Allegri saluta, ma lo ha fatto a modo suo: da vincente (con tanto di show) e il suo nome rimarrà indelebile nella storia della Juventus.

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