29 maggio 1985. Esattamente 25 anni fa. Finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles. Avevo nove anni ed era la prima manifestazione calcistica importante che guardavo in tv. O almeno: la prima che guardavo con cognizione di causa. Avevo vissuto anche la vittoria dei Mondiali dell'82, ma ero troppo piccolo per ricordarmene. Ho soltanto ricordi confusi dei ragazzi di Bearzot. Quella sera, quella maledetta sera invece, mi è rimasta impressa nella memoria e le sensazioni sono talmente vivide ancora oggi che 25 anni non sembrano nemmeno passati. E' una prerogativa degli eventi traumatici: quell'arco di tempo viene stampato indelebilmente nella memoria e ti perseguiterà per sempre. Ricordi perfettamente dov'eri, cosa facevi, e alcuni fotogrammi vivranno per sempre di vita propria nel tuo cervello.
Sono cresciuto con il pallone da calcio nella culla e sono tifoso juventino dalla nascita. Quella sera mio padre non vedeva l'ora di farmi vedere quella grande sfida. Era orgoglioso di poterla vivere insieme a me e io fiero insieme a lui. Mangiammo prima apposta per poterci gustare senza distrazioni la finalissima. Ci mettemmo davanti al televisore, pronti a gustarci lo spettacolo. Un rituale che milioni e milioni di ragazzi hanno fatto coi rispettivi nonni, padri, amici e successivamente coi propri figli. Rituali che vanno avanti da sempre e verranno per sempre tramandati. E' questo il bello dello sport. Ma avrei preferito non ricordare quell'ora di delirio umano. Rimasi basito davanti alla tv. La diretta su Rai 2 cominciò proprio con immagini scioccanti, poi oscurate, ma il commento di Bruno Pizzul m'è rimasto impresso. Era come se stesse commentando un funerale. E di fatto lo era. Ricordo ancora lo zapping di mio padre su Rai 1, dove i telegiornali già stavano facendo vedere le terribili immagini: gente schiacciata contro le recinzioni, caos in campo, ambulanze sul rettangolo di gioco, sangue e gente esanime sdraiata per terra. Ancora oggi ho i brividi. Allora mi sembrava un film dell'orrore: non realizzai le conseguenze di quelle immagini e la gravità di quei fotogrammi. Oggi me li porto nell'anima e li custodisco gelosamente, per non dimenticare.
Quella partita non doveva essere giocata, quella coppa non doveva essere alzata, né festeggiata. Non scopro di certo l'acqua calda nel fare queste dichiarazioni. 'Non sapevamo della strage' dissero negli anni a venire i protagonisti di quella tragica serata. Vero. I giocatori non furono avvisati, ma l'Uefa sapeva tutto e fece comunque giocare la partita per motivi di ordine pubblico. Sta di fatto che quella partita è stata giocata, ma quella coppa non la sento mia. Non la sento bianconera. Per me quella coppa non è mai stata vinta da nessuno. Non è mai stata assegnata. Un discorso strano di questi tempi. Tempi in cui si fa a cazzotti per accaparrarsi scudetti di cartone vinti sul campo e poi si cerca di revocarli nelle aule di tribunale. Vorrei cancellare quel fotogramma di Platini che fa il giro di campo per festeggiare una coppa sporca di sangue. E anche i protagonisti vorrebbero non aver mai vissuto quei 90 minuti. Sta di fatto che è successo. E' tutto vero. E il dolore dei famigliari delle vittime è ancora vivo, e lo sarà per sempre. Giusto ricordare per non dimenticare e si spera di imparare da quei tragici eventi. Roberto Beccantini, sulle pagine de La Stampa, in questi giorni ha scritto assolute verità: 'Gli inglesi capirono subito la lezione e adeguarono i provvedimenti legislativi all'esigenza di cambiare il modo di vivere 'lo' stadio e 'nello' stadio. Noi no: siamo rimasti prigionieri dell'ipocrisia e del labirinto'. Per quanto mi riguarda quella coppa non è mai stata vinta dalla Juventus. La Signora ne ha vinta una soltanto: quella di Roma ai calci di rigore contro l'Ajax.