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    Juvemania: certezze ed enigmi, l'Inter dirà dove potrà arrivare Thiago Motta

    Juvemania: certezze ed enigmi, l'Inter dirà dove potrà arrivare Thiago Motta

    • Cristiano Corbo
    Ancora una volta, il sapore che ci resta addosso, uscendo dallo stadio, è quello di una felicità interrotta. Come un applauso che si spegne a metà, come una vittoria appena accennata. Si ondeggia sul filo sottile tra sogni e disincanto, tra promesse e attese. La Juventus è forse proprio questa inquietudine: un cantiere aperto, un’opera incompiuta, una giovinezza che sa di ardore e di fragilità. Bisogna farsene una ragione, forse persino abituarsi, perché questa squadra è giovane non solo nei limiti, ma anche nella fame di arrivare. Lo ha dimostrato ancora una volta, trovando il vantaggio. Ma resta il dubbio di sempre: si può fare di più o è già un miracolo essere qui? 

    Thiago Motta, nella sua conferenza stampa, ha illuminato il campo con una verità semplice e brutale: in campo è scesa la Juve più giovane di sempre in una partita a eliminazione diretta. Un gruppo di ragazzi, eppure non basta. Serve di più. Più intensità, più dinamismo, più forza. Dove gli altri arrivano con l’astuzia, la Juventus deve farsi largo con il fisico e con il carattere, entrambi ancora in fase di costruzione. Non è attendismo, è un sentiero da percorrere. Il problema è il tempo: il calcio non aspetta, e ogni partita è una corsa sulle montagne russe, un giro che può portarti su o scaraventarti giù.

    Si continuerà a provarci, a cercare una via d’uscita dal momento buio. Le cicatrici sono ancora lì, come ferite che non hanno avuto il tempo di chiudersi. Lo si è visto nel gelo del gol di Perisic: la Juve ha vacillato, si è raccolta su sé stessa, quasi cercando di misurare la gravità del colpo prima di reagire. Ma se c’è qualcosa che manca – e manca, eccome se manca – è la capacità di resettare, di rialzarsi senza indugi. È il fardello della gioventù, quando uno schiaffo brucia più del dovuto, quando un errore pesa come una sentenza.

    Eppure, in questo caos, spuntano scintille. Federico Gatti e il suo animo indomito. La spavalderia di Renato Veiga, che non conosce la paura. Il sangue freddo di Douglas Luiz, capace di domare il pallone da calciatore navigato. Sono stati loro i fari nella notte, insieme agli spunti di Weah e al sigillo di McKennie. E forse è da loro che Motta deve ripartire, abbandonando il dettaglio per guardare l’insieme, lasciandosi cadere nel gioco come negli esercizi di fiducia, sperando che qualcuno lo sorregga. Perché il tempo stringe, e il lavoro da fare è immenso.

    Poi, però, resta un altro enigma: che ne sarà di chi ora si trova nell’ombra? Dusan Vlahovic entra solo nel finale, ma ormai non è più una sorpresa. Lo sta diventando, invece, il fantasma di Teun Koopmeiners. Il suo ingresso è stato spento, impacciato, un riflesso di qualcosa che non va. Un burnout calcistico difficile da sciogliere con una semplice panchina. Il rischio è quello di perderlo, pezzo dopo pezzo. Ma c’era un’altra strada? No, il campo ha dato ragione alle scelte di Motta. 

    E ora arriva la prova del fuoco. La Juventus deve rispondere alle domande più difficili: che fine faranno le poche certezze emerse? Douglas, Veiga, Weah. McKennie, sospeso in una posizione ibrida e indefinibile. Gli esterni da mescolare, forse da rifondare. Ogni due giorni cambia tutto, e ogni due giorni servono risposte nuove. In bocca al lupo a Thiago, allora: la squadra sta cercando di riprendersi, ma ancora non trova il passo giusto. E viene quasi da pensare che sarà l’Inter a definire cosa potrà essere questa Juve. Se non fosse che questa storia l’abbiamo già sentita mille volte. 
     

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    Trezegol
    Trezegol

    Squadra senza equilibrio con troppi mezzi giocatori e relativo mezzo allenatore. Anche dovessero...

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