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    Juventus-Sousa: tre motivi per cui il portoghese sarebbe l'allenatore ideale

    Juventus-Sousa: tre motivi per cui il portoghese sarebbe l'allenatore ideale

    • Marco Bernardini
    Il dato eccezionale che contraddistingue la vincente “normalità” della Juventus di questa ripresa del campionato è certamente riscontrabile nella “ferocia” con la quale Massimiliano Allegri affronta ciascuna partita. Prima, durante e anche dopo. Un atteggiamento, emotivo ma palese, piuttosto inconsueto per un uomo e per un personaggio il quale ci aveva abituati a leggerlo tra le righe della pacatezza gestuale e dei toni sempre molto soft. Uno spirito da combattente che può soltanto produrre giovamento alla squadra. Ma anche, a setacciare bene, una possibile sfida tutta personale con se stesso per trovare (e trasmettere ai suoi) la carica giusta al fine di centrare un clamoroso triplete stagionale e poi salutare da trionfatore casa Juventus. Potrebbe apparire come un paradosso, eppure il ragionamento possiede almeno tre ottimi “perché” i quali se vengono affiancati al nome di Paulo Sousa, prossimo sfidante di Allegri con la sua Fiorentina, sono tutt’altro che campati in aria. 
    Analizziamoli nel dettaglio.

    ALLEGRI PERCHE' NO 
    1) Questioni societarie. La Juventus, quella contemporanea di Andrea Agnelli, porta avanti una linea aziendale molto precisa e rigorosamente padronale. Il presidente in carica pretende, come ciascun capitano di industria, di essere il primo punto di riferimento attivo della piramide composta dai suoi collaboratori. Non demanderà mai decisioni nevralgiche ad un manager all’inglese. Il tempo di permanenza di un allenatore sulla panchina bianconera sarà sempre di quattro o cinque anni. Naturalmente in caso di successo.
    2) Questioni di cuore. E’ innegabile che Allegri, con il suo lavoro e con il suo sapersi proporre come galantuomo, si è meritato il profondo rispetto da parte del popolo bianconero.  Un sentimento che, insieme con quello della stima, non è però sufficiente per cementare un rapporto  destinato a durare, come dicevano i latini, “ad libitum” e cioè per sempre. Tra simpatia ed empatia c’è un bel solco di mezzo. Quello esistente tra l’allenatore e la gente non è mai stato colmato. Un poco quel che accadde per Ancelotti con la differenza dei risultati.
    3) Questioni di ambizione. Allegri più di tanto non potrà vincere. Lo sa benissimo anche lui, proprio come ne era consapevole Antonio Conte. Il suo status di allenatore italiano in patria è stato caratterizzato da una stupenda e costante escalation la quale ha provveduto a conferirgli una notevole aura di splendore anche all’estero. Sempre più spesso, ufficialmente, Allegri ama definirsi un professionista del calcio globalizzato. Nulla di strano, dunque, se il tecnico livornese si trova ad immaginarsi protagonista in una realtà diversa da quella attuale. Il disimpegno dal mondo del calcio almeno per un anno annunciato da Guardiola potrebbe essere un segnale importante per la “fuga” in Premier di Allegri.

    SOUSA PERCHE' SI' 
    1) Questioni aziendali. Andrea Agnelli è un giovane presidente che ama le grandi sfide. Al pari di Boniperti e di quello che il numero uno bianconero seppe inventare con Giovanni Trapattoni, il figlio di Umberto avrebbe in animo di lanciare definitivamente un allenatore il quale, fino a questo momento del suo percorso professionale, ha raccolto decisamente meno di ciò che avrebbe dovuto e potuto. Paolo Sousa, durante questo periodo di apprendistato, è cresciuto enormemente sia come tecnico e sia come uomo. Ha studiato “non solo calcio”, conosce e parla cinque lingue, e ritiene fondamentale anche il lavoro psicologIco. Con lui sarebbe possibile aprire un nuovo ciclo.
    2) Questioni di cuore. L’attuale tecnico della Fiorentina è stato giocatore vincente ed elemento fondamentale per la Juventus. Non soltanto in campo ma anche, se non soprattutto, rispetto ai rapporti con la tifoseria la quale lo ha sempre custodito nel suo cuore anche dopo il suo trasferimento che nulla aveva a che vedere con il pallone giocato. A lui potrebbero anche essere perdonate certe piccole disattenzioni dovute all’inesperienza e alla novità dei grandi vertici. In ogni casi il suo arrivo in bianconero sarebbe accolto come un giorno di festa.
    3) Questioni di ambizione. Sousa, dopo aver girato mezza Europa e aver studiato anche sul manuale calcistico del suo connazionale e maestro Mourinho, è finalmente arrivato il Italia per andarsi a piazzare sulla panchina di una squadra di assoluto rispetto ma non ancora di fondata eccellenza.  Per lui, che è ambizioso ma non invadente e privo di tentazioni extra aziendali, arrivare alla Juventus e tornare in quella Torino che ha sempre detto essere la sua seconda città della vita avrebbe il significato di aver raggiunto la cima dell’Everest. E, insieme con lui, ci sarebbe la sua e nuova Juventus.

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