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Juve: Marotta e Allegri hanno svenduto Bonucci, ma nessuno è come lui
La consapevolezza che la storia è finita, che dove stai non sei amato, che anche se sei il più bravo tra i calciatori, l’allenatore conta più di te, che i compagni sono stanchi di te e tu di loro.
Leonardo Bonucci l’ha fatto per questo, ma soprattutto per dimostrare che lui da solo vale più di un reparto messo insieme, che lui da solo trascinerà il nuovo Milan; che lui da solo, al termine di questa immensa attraversata ideologica, avrà avuto ragione e tutti gliela dovranno riconoscere. L’alta considerazione di sé è benzina per il suo motore.
Eppure Bonucci aveva tutto per diventare, più di quanto già non lo fosse, un monumento della juventinità: oltre alle qualità tecniche e alla bravura tattica, possiede l’arroganza tipica di chi comanda la difesa e, forse, lo spogliatoio, l’icasticità delle esultanze, lo sguardo vivo, la testa alta, la schiena dritta anche quando altri sarebbero stati piegati dalle bastonate.
Quando ha sbagliato - e nella stagione appena conclusa l’ha fatto pesantemente - ha mantenuto una certa fierezza nei comportamenti. Il punto o, forse, il problema è che Bonucci non si sentiva più solo calciatore, ma leader della squadra e contrappeso al mister. Fu per questo che litigarono durante la partita con il Palermo, addirittura, con un tentativo di aggressione da parte del giocatore nel tunnel che porta agli spogliatoi.
Ed è per questo che il 3 giugno a Cardiff, nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo, Bonucci si è sentito autorizzato prima a dare uno schiaffetto sulla nuca a Dybala per aver rimediato un’ammonizione e poi a far notare come da destra - la sinistra degli attacchi madridisti -, Marcelo avesse tutta la libertà di questo mondo. Atteggiamenti e osservazioni che non sono piaciuti né ad Allegri, né agli altri senatori del gruppo. C’è chi come Barzagli gli ha risposto a tono (“se tu avessi messo il piede, Cristiano Ronaldo non avrebbe segnato”), altri hanno abbozzato, ma se la sono legata al dito.
Quando la società ha rinnovato con Allegri (un altro anno ad otto milioni di euro), Bonucci ha capito che per lui si metteva male, perché l’allenatore, in privato, i suoi segnali li aveva già mandati (in pubblico ha detto il contrario, ma era propaganda).
Quando Marotta ha ribadito apertamente che la Juve non trattiene nessuno controvoglia, ha intuito di essere il primo destinatario del messaggio.
Per un po’ sia il calciatore che la società hanno sperato in un’offerta proveniente dall’estero, Manchester City o Chelsea, come lo scorso anno, quando arrivarono a mettere sul piatto fino a sessanta milioni. Ma sfortunatamente nessuno ha cercato nessuno.
Punto sull’orgoglio, Bonucci ha incaricato il suo agente di trovargli una sistemazione italiana. Non so perché abbia scelto il Milan con tanta decisione e rapidità (a mio giudizio l’Inter avrebbe rappresentato un migliore progetto tecnico e uno sgarbo più sanguinoso per la tifoseria bianconera), fatto sta che Marotta ne ha assecondato la volontà immediatamente. Di più: non l’ha solo venduto (Bonucci vale almeno cinquanta milioni), ma l’ha addirittura svenduto (quaranta a fatica), disfandosene senza alcun riguardo.
Calcisticamente parlando, il Milan guadagna e la Juve perde.
Montella, per esempio, potrà varare non solo la difesa a 3 (Musacchio, Bonucci, Romagnoli), ma anche il 3-4-3, più aderente a Andrea Conti, a Ricardo Rodriguez e ad una squadra iper-offensiva. Il vantaggio è anche un altro: Bonucci sa e può impostare da dietro con lanci precisi e vincenti, ha nei piedi quattro-cinque gol a stagione, ama partecipare all’azione di rifornimento della fase offensiva. Tutto questo - va da sé - la Juve lo perde, anche se Benatia-Chiellini o Barzagli-Rugani sono coppie di sicuro affidamento difensivo. Però la questione è un’altra: in rosa e in giro non ci sono altri Bonucci. E se nessuno sa quanto conterà la sua presenza nel Milan, tutti sanno che la sua assenza lascerà una crepa nel sottosuolo Juve.