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    Juve: Paratici, il vero top player

    Juve: Paratici, il vero top player

    I quattro scudetti della Juventus e i quattro mercati di Fabio Paratici, ovvero il nuovo astro del calciomercato di casa nostra. Non esattamente una coincidenza casuale. Quattro in fila. Un risultato eccezionale per il direttore sportivo bianconero. Seppur con un prologo contraddistinto da alcuni passi falsi nella prima stagione a Torino (2010-2011), a conferma che nel calcio come nella vita è proprio dai fallimenti che si possono trarre le giuste motivazioni per poi avere successo. Paratici non è uno che si fa notare. Agisce nell’ombra, parla poco, delega al mentore Marotta il confronto con i media e l’opinione pubblica. Ma alla lunga evidenzia una dote più unica che rara nell’ambiente del calcio: la capacità di azzeccare un giudizio di mercato non solo sotto il profilo tecnico ma anche caratteriale.

    Ecco, in sostanza, il segreto di Paratici: sa vedere il reale talento di un calciatore, spingendosi oltre l’evidenza del momento. Una qualità innata ma alimentata dall’applicazione e da un’attenzione speciale nell’osservazione degli allenamenti, la base di tutto. Viene spesso da pensare alla parabola di Simone Zaza: notato all’Atalanta (che peraltro lo aveva scaricato) e portato dallo stesso Paratici alla Sampdoria, sembra perdersi alla Juve Stabia e poi riprendersi al Viareggio in Lega Pro. Ma resta nei pensieri del dirigente. Che infatti lo segue quando passa all’Ascoli e lo acquista per la Juve l’anno dopo girandolo al Sassuolo. Tra alti e bassi, il bilancio complessivo dà ragione a Paratici: Zaza infatti nel frattempo è approdato in Nazionale e appena ieri il suo agente ha annunciato che presto l’attaccante vestirà la maglia della Juve.

    E comunque gli sbagli del talent scout all’esordio dietro la scrivania bianconera – in collaborazione da sempre con Marotta - sono ristretti a pochi nomi (oltre alla scelta condivisa che porta in panchina da Genova anche Delneri): su tutti, spicca Jorge Andres Martinez, esterno indecifrabile su cui Paratici scommette alla luce di un rendimento sempre eccellente evidenziato dall’uruguayano nelle precedenti stagioni trascorse al Catania: l’investimento da 12 milioni e un contratto quinquennale si riveleranno scelte disastrose. 

    D’altro canto, non sono solo spine. In quella stessa estate la prima intuizione porta in bianconero Leonardo Bonucci. Per avere il difensore dal Bari, Paratici s’intestardisce in un percorso tortuoso risolvendo a fatica la compartecipazione con il Genoa con la rinuncia a Criscito, la difficile cessione di Almiron e spendendo complessivamente 15 milioni. I risultati metteranno inizialmente in cattiva luce anche questa operazione, così come il successivo acquisto invernale di Andrea Barzagli, nuovo puntello per la difesa, preso dal Wolfsburg a un prezzo stracciato ma pure in mezzo a un generale scetticismo, alimentato dai risultati mediocri di una stagione deludente. Del resto, l’ultima stagione negativa della Juventus. Che proprio su Bonucci e Barzagli, in aggiunta a Chiellini, fonderà una straordinaria difesa a tre. 

    L’anno successivo nell’organigramma entra anche Pavel Nedved e non si tratta di un fatto secondario. L’ex attaccante, bandiera autentica, vanta un rapporto speciale con Mino Raiola, il Re Mida del calciomercato, ed è il primo consigliere del presidente Andrea Agnelli. Ma non c’è contrapposizione con i gestori del mercato bianconero, il supposto dualismo con Marotta resta confinato al gossip. Con Paratici, invece, l’intesa appare subito solida. E si sviluppano trame importanti sul mercato dopo l’avvicendamento in panchina tra Delneri e Antonio Conte, l’uomo della rinascita.  Il colpo più importante del 2011-2012 in campo internazionale è quello che porta il nome di Arturo Vidal. In un incontro con gli universitari di Piacenza, l’ex studente Paratici si è confidato recentemente spiegando che l’illuminazione sul cileno arrivò casuale: in missione per seguire Giuseppe Rossi in un Bayer Leverkusen-Villarreal, non passò inosservata la prestazione di Vidal, centrocampista di movimento, sostanza e doti eccelse. Le informazioni raccolte indicavano difficoltà di ambientamento del sudamericano in Germania, ma bisognava agire rapidamente per anticipare la mossa annunciata da parte del Bayern Monaco. Detto, fatto: un affare da 10 milioni, ma anche una pietra posata per i successi in arrivo. 

    Sul mercato bisogna saper improvvisare. E cogliere le occasioni al volo, fidandosi dell’istinto. Pensiamo ad Andrea Pirlo. In quei giorni d’estate, poco prima del ritiro bianconero, il regista è ancora in rotta con il Milan. Ha giocato poche gare nel campionato precedente, qualcosa di davvero insolito per Pirlo, ma anche un dato che a molti sembra suggerire un fine carriera anticipato. E quando lo staff dirigenziale prospetta a Conte l’arrivo del rossonero, la reazione dell’allenatore – che vuole puntare su gente atleticamente al top – non è esattamente entusiastica. Così Paratici sonda il terreno senza troppa convinzione. E invece la trattativa procede. Pirlo è felice di affrontare la sfida bianconera, il Milan si convince a chiudere un capitolo storico ma in apparenza esaurito. I risultati a venire definiranno in seguito i contorni di un colpo clamoroso.

    Non mancano, ancora, errori di valutazione. Eljero Elia è l’attaccante esterno che dovrebbe garantire qualità: non riuscirà mai a trovare spazio. Però si registra anche un altro acquisto tipico della ditta Paratici-Marotta: quello di Stephan Lichtsteiner. Tiepida accoglienza per lo svizzero, che pure in fatto di solidità caratteriale, corsa e capacità tecniche risponde esattamente ai requisiti richiesti dal duo dirigenziale e dallo stesso Conte. Che alla fine guiderà la squadra verso uno scudetto straordinario, ancora oggi conservato nel cuore pure da Paratici. Lo scudetto che apre un’era, quella dei record in serie, e ne chiude (sbrigativamente) un’altra, quella di Alex Del Piero. 

    Il primo tricolore (per Paratici) non si scorda mai, ma anche quelli successivi… Specie se sul mercato c’è spazio per autentiche prodezze. Di quelle da raccontare per anni e anni come motivo di vanto e prestigio. È il caso di Paul Pogba. Preludio alla stagione 2012-2013. L’informazione che arriva a Paratici è corretta: il promettentissimo giovane centrocampista da poco prelevato in Francia dal Manchester United è già in scadenza di contratto e c’è la possibilità di inserirsi nella trattativa. Con l’appoggio strategico di Raiola, la missione è compiuta. E un talento potenzialmente senza limiti è assicurato alla Juventus. Avrà tempo di crescere sotto le cure ruvide ma consapevoli di Conte. Come altri giovani. Ad esempio Sebastian Giovinco, di rientro dal Parma a caro prezzo per il riscatto della comproprietà. O come Daniele Rugani, lasciato a maturare all’Empoli. Oppure come Manolo Gabbiadini, girato in prestito al Bologna. Doppio colpo dall’Udinese: arrivano Asamoah e Isla e la Juve investe più soldi per il secondo che per il primo. Ma il campo dirà che i valori sono rovesciati. In ogni caso, alla fine, la Juve vince il secondo scudetto di fila.

    L’anno successivo, campionato 2013-2014, è quello designato alla ricerca di un campione di portata internazionale, un giocatore che sia capace di far fare il famigerato salto di qualità alla Juve in prospettiva Champions League. Se per Paratici fin qui l’esperienza bianconera è stata contraddistinta da una crescita di competenza e carisma sul mercato italiano, arriva il momento di un confronto decisamente più impegnativo. Su un terreno che peraltro il ds conosce molto bene, frutto di una passione alimentata già nella sua ultima fase da calciatore, quando dopo gli allenamenti visionava cassette e cassette di partite di campionati esteri. È l’ora di provare anche oltreconfine quella sensibilità messa a frutto sul mercato interno. Ma stavolta la scelta può essere decisiva. Paratici ha capito che un giocatore quando arriva alla Juve rischia “di cambiare sport”, ovvero deve confrontarsi con una realtà nuova e decisamente complessa. Una realtà dove tradizione e aspettative pesano. Ci vogliono gli interpreti giusti. E la scelta cade su Carlitos Tevez. Non tutti ne conoscono la parabola umana e calcistica. Anzi, i problemi vissuti dall’argentino a Manchester, su entrambe le sponde di United e City, sollevano più di un dubbio sull’affidabilità del giocatore in un ruolo da leader e trascinatore. Scattano facili ironie. All’arrivo a Torino in molti lo vedono appesantito, pronto per una colossale delusione. E invece per Tevez sarà un crescendo di vittorie e rivincite. 

    Paratici scommette anche su Ouasim Bouy, olandese di origini marocchine che però farà di tutto per smarrirsi. E su Domenico Berardi del Sassuolo, prenotato per il futuro. Poi affianca a Tevez un attaccante centrale vecchio stile, un centravanti basco di nome Fernando Llorente, in realtà seguito a lungo e prenotato già l’anno prima, finito per questo fuori rosa a Bilbao, oggetto misterioso da scoprire in bianconero. Si integrerà alla perfezione con Tevez. Altro affare tutt’altro che banale: Angelo Ogbonna, strappato al Toro di Cairo per ben 12 milioni, mai amato dai tifosi granata e mai del tutto apprezzato in bianconero, eppure potenzialmente protagonista della difesa grazie a un fisico notevole e a una buona mobilità. Anche per lui serve la cura Conte. In uscita ci sono Giaccherini e Matri, altri affari da giudicare riusciti e ora utili per plusvalenze. A gennaio ecco Pablo Osvaldo, genio e sregolatezza per l’attacco per una vendetta memorabile da condividere nel giorno della vittoria sul campo della Roma a scudetto già acquisito, con punteggio in classifica esagerato e con il gol – appunto – dell’ex avvelenatissimo.
     
    Un altro scudetto, con numeri da capogiro, va in archivio. Un altro titolo pure per Paratici non più astro nascente ma dirigente ormai adulto e svezzato. Che intanto assieme a Marotta e agli altri ha assaporato, tra un trionfo e l’altro, una nuova delusione in Champions, forse la più cocente, al termine di una surreale partita nella neve di Istanbul. È la partita che fa prendere atto a Conte della diversità e dei limiti del calcio italiano e che spinge il tecnico a profetizzare: “Ci vorranno anni prima di vedere un’italiana in finale di Champions”. È il primo atto di un progressivo scollamento. Il limite europeo appare insuperabile. Troppo distanti le ricchezze delle grandi di Spagna, Inghilterra e Germania. Sul mercato, Conte indica strade che la Juve non riesce a seguire. Per esempio Nainggolan, il centrale che la Roma prende dal Cagliari annichilendo proprio la concorrenza della Juve. O ancora Iturbe, altro nome indicato da Conte, disatteso da Marotta e Paratici e soffiato dai giallorossi. Sul momento sembrano sconfitte significative, anche se non arrivano dal campo. Sono però segnali che giungono all’allenatore. Il quale decide che tre scudetti di fila sono abbastanza e che sarà difficile fare di meglio.

    È l’alba della stagione 2014-2015, a ritiro già iniziato. Le presunte abilità decisionali della dirigenza juventina vengono messe a dura prova. I nemici esultano. Conte via dalla Juve significa una minaccia che si affievolisce. La scelta più logica per la sostituzione conduce a Massimiliano Allegri, lasciato libero dal Milan, pronto per un’altra grande squadra. Al Milan tra l’altro è il turno di Filippo Inzaghi: un nome da tenere a mente per l’amicizia che lega l’ex bomber rossonero, fin dall’infanzia, a Fabio Paratici, ora dirigente bianconero. Ma intanto una nuova strada è tracciata, tra la diffidenza – o peggio – dei tifosi che considerano Conte un condottiero ineguagliabile (nonostante il brusco e per molti irrispettoso addio) e Allegri un personaggio troppo legato alla concorrenza. Sono bagliori estivi. Il mercato della Juve si sviluppa in pochi e decisi affari. Uno su tutti: Alvaro Morata, la promessa del Real Madrid da realizzare in bianconero pur con l’ombra di una possibile recompra. Scommessa ancora una volta coraggiosa, che prende la critica in contropiede. Per fare spazio allo spagnolo si lascia definitivamente partire Ciro Immobile (passato dal Toro al Borussia Dortmund) mentre anche Quagliarella passa in granata. E poi arriva il centrocampista Roberto Pereyra, argentino dell’Udinese, tutto da verificare in un contesto di più alto livello. E ancora il giovane Coman – il nuovo Pogba per l’attacco – e l’esperto Evra – l’uomo da Champions che in molti giudicano agli sgoccioli della carriera – fino a Romulo, elemento in più per una rosa che sale di qualità e completezza. Smentendo fin da subito gli eccessivi timori di Conte. La linea di Paratici non cambia: talenti ma anche uomini veri, ragazzi seri. Significativi, a gennaio, i ritorni di Matri e De Ceglie, apprezzatissimi dal gruppo. Tutte mosse riuscite. Non può essere solo buona sorte.

    Oggi, quando la stagione non è ancora conclusa, la Juventus di Allegri ha già vinto lo scudetto e attende di giocare due finali, in Coppa Italia e soprattutto in Champions. Un trionfo indiscutibile già così.  Che a Paratici ha già fruttato due chiamate più o meno inattese: dal Milan che deve rilanciarsi e dal munifico Tottenham. Ma l’equilibrio con Marotta appare indissolubile. Per fortuna della Juventus.

    @lucaborioni
     

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