Juve-Inter: passa tutto tranne Calciopoli
La telenovela più avvilente: uno scontro che fa solo danni.
Fino al derby di Genova, solo due delle prime 18 squadre avevano vinto: Fiorentina e Catania. Il resto è come una partita di tressette a non prendere, detto anche ciapanò. Marchetti e un efficace catenaccione laziale bloccano sabato la Juve sullo 0-0. Un bel Cagliari blocca ieri l’Inter sul 2-2 a San Siro. I punti tra le prime due restano 4 e sulla situazione, non solo sull’arbitraggio di ieri, Moratti ha parecchie cose da dire. In pratica, prende la rincorsa partendo dalla partita pur vinta 3-1 in casa della Juve. Per grazia di Dio, precisa Moratti, non certo per sviste arbitrali. Due, grosse, a favore della Juve: la mancata espulsione di Liechtsteiner più grave ancora del fuorigioco di Asamoah. Fin qui, riesco a seguirlo. Dopo, nell’evocazione di antichi fantasmi, materializzatisi nell’esplosione della cosiddetta Calciopoli, non ci riesco. Di più: ritengo che un commentatore equidistante, ammesso che esista in questo pollaio, debba evitare di seguire Moratti e ogni tesserato che si esprima da tifoso. Il riferimento è anche a Galliani che insulta dalla tribuna il suo portiere, è anche a De Laurentiis che non manda i suoi alla premiazione, è anche ad Andrea Agnelli che preferisce parlare alle pance che alle teste dei tifosi. Il rigore su Ranocchia c’era, ma non è questo il punto. Il punto è che lo sport, e il calcio dovrebbe esserlo ancora, non consente sdoppiamenti di ruolo e richiede un costante senso di responsabilità. Si suppone che anche i presidenti del calcio spagnolo, tedesco, francese, inglese siano tifosi, eppure li si vede fianco a fianco in tribuna e con una scarsa tendenza all’incendio. Danno l’esempio, o cercano di darlo, si sforzano di darlo. Sanno che quello è il loro ruolo.
Tutto passa, tranne Calciopoli.
Ci risiamo. La sindrome della fregatura si è reimpossessata di Massimo Moratti che ha ragioni da vendere sul rigore non concesso a Ranocchia con il Cagliari ma dovrebbe prima di tutto mettersi d’accordo con se stesso. Nel giro di un paio di minuti il presidente dell’Inter ha sostenuto con rabbia due tesi contrastanti. La prima è che gli arbitri italiani sono mediamente incapaci ed è l’incapacità, non la malafede, che li porta a sbagliare. La seconda è che l’Inter non vuole rivivere le situazioni che precedettero Calciopoli, quando perdeva gli scudetti perché li facevano vincere alla Juve. Non l’ha detta papale papale ma il messaggio era questo. Per nausea e per scelta non entriamo nella disputa su quel periodo. Quello che non capiamo di Moratti è il brancolare tra il sospetto e la sua negazione. Se pensa che molti direttori di gara non siano adeguati, lo pensiamo anche noi e ci scappa un sorriso quando sentiamo ripetere dai vertici della categoria che abbiamo gli arbitri migliori del mondo. Lo fanno i salumai quando garantiscono sulla bontà del proprio prosciutto. Tuttavia se le cose stanno così non si può immaginare che esista un disegno: per mettere insieme un progetto truffaldino bisogna avere delle capacità e arbitri assai svegli nel sbagliare. Questo è però il timbro di Moratti. Dire una cosa e lasciar intendere di pensarne un’altra. Seminare il dubbio ma non denunciare. Spargere il veleno ma non tenere tra le dita la provetta. L’avremmo apprezzato di più se avesse detto: «La Juve ha pagato le proprie colpe, è andata in serie B, ha rivoluzionato due volte la società, per ricostruirsi ci ha messo sei anni nei quali io ho vinto tutto anche grazie alla sua assenza ma alla resa dei conti non è cambiato niente: rimane legata al Palazzo, anche se ci litiga un giorno sì e l’altro pure». Almeno sarebbe stato chiaro e responsabile di una posizione da condividere o da rigettare. Questo invece è un metodo che non ci piace. Più subdolo e più pericoloso. L’Inter ha il diritto di protestare e di prendersela con chi vuole, ha subito un grave torto (e non il primo) anche se non vedemmo Stramaccioni arrabbiarsi da farsi espellere quando non fischiarono un rigore altrettanto gigantesco al Catania, sull’1-0 a 10’ dalla fine. Il riaffacciarsi dei cattivi pensieri è un’altra cosa. Da tempo chiediamo alla Juve (società e tifosi) di smetterla con la guerra inutile per i due scudetti tolti e di chiudere per sempre la parentesi più nera della propria storia da cui è stata brava a uscire. Ma il passato va seppellito in due e Moratti non perde l’occasione per mantenerlo in vita, così che anche la Juve fa altrettanto. Non se ne esce più.
Era fallo, ma la squadra ha perso l’equilibrio.
Approfitta solo la Fiorentina del passo falso juventino. Pareggia anche l’Inter fermata da un bel Cagliari e da una decisione dell’arbitro francamente poco comprensibile. Una cosa è dire che la vittoria avrebbe premiato troppo l’Inter, altra è discutere il rigore. Il fallo era chiaro, il rigore conseguente. Nel mare di parole successivo perde ingiustamente importanza la bella partita del Cagliari e il dato tecnico che Handanovic è stato forse il migliore dell’Inter. Questo il danno che portano i cattivi arbitri: impediscono di parlare di calcio. Restando dentro la partita, l’impressione è di un’Inter che ha di nuovo perso l’equilibrio. Segna molto, subisce troppo. I tre attaccanti hanno troppi compiti, alla lunga non sembrano in grado di sostenerli. L’Inter è formidabile con i grandi avversari, ha più difficoltà con gli altri quando servono continuità fisica e concentrazione. L’Inter va secondo fantasia. Questo è un lusso straordinario nel calcio arido di adesso, ma anche un limite tattico. Stramaccioni, a rabbia trascorsa, abbia l’umiltà di valutarlo. Dopo un terzo di campionato la sorpresa è la Fiorentina. Non dite che gioca come il Barcellona, è l’opposto. È uno strano calcio pratico e propositivo, un rivolo intelligente del vecchio fiume italiano. La Fiorentina gioca in fretta un calcio non difficile, ma semplice solo per chi sa giocare a calcio. Palla di prima, scambi veloci, passaggi in profondità. Forte spirito di squadra, più un atipico, uno di quei nessuno che ogni tanto si alzano dal calcio per diventare devastanti. Questo si chiama Cuadrado e non lo prendi mai. Fateci caso, gli avversari della Fiorentina restano sempre in dieci. Saltano tutti per fermare lui. Cosa deve pensare adesso la Fiorentina di questo campionato? Che lo vincerà la Juventus, forse l’Inter. Non i fiorentini, anche se giocano meglio di tutti e battono di volta in volta gli avversari più in forma (l’Atalanta aveva fatto 13 punti nelle ultime 5 partite). La Fiorentina è per adesso come il moto uniforme di Galileo, un principio straordinario che non esiste nella realtà. Però esiste da qualche parte e cambia le classifiche come Galileo cambiò la scienza. Montella gioca senza un mediano, è la pura fantasia al potere. Eppure gli avversari tirano pochissimo in porta. C’è qualcosa di nuovo che va capito. Forse è nato per caso, forse non durerà. Forse dipende solo dalla diversa qualità del campionato. Ma il principio è quasi blasfemo: solo calcio, solo qualità, perdere dove si deve e vincere dove si può, sempre giocando al meglio. A Genova un derby con i tratti dello spareggio. Ha vinto la Samp nonostante i problemi di formazione. Il Genoa è in una situazione non prevedibile da cui uscirà per una ragione quasi aritmetica: ha il migliore attaccante, Borriello. Quasi sempre basta. (Mario Sconcerti - Il Corriere della Sera)
Moratti, quei sospetti fuori luogo. Dalla Juve replica poco edificante.
La Juve ha beneficiato di due sviste consecutive (Catania, Inter), l’Inter ha avuto modo di lamentarsi tre volte di fila: Juve, Atalanta, Cagliari. Anche le coincidenze fanno girare i sentimenti. Soprattutto a chi porta addosso i lividi di Calciopoli. Il fallo da rigore di Astori era una trave più che una pagliuzza. In coda a una partita combattutissima, per di più, che avrebbe potuto riportare l’Inter a -2 dalla Juve. Insomma, Moratti merita una generica, umana comprensione per l’umore furibondo. Se nel vortice della passione agonistica un dirigente ricorre alla cacca per descrivere il suo portiere, figuriamoci cosa può pensare un presidente degli arbitri. Inaccettabile invece è il ponte lanciato con Calciopoli, il sospetto sparpagliato con leggerezza di un calcio nuovamente in mano a un sistema malandrino. La credibilità del calcio, già minata da scommesse e altro, ha bisogno di un soccorso comune, a partire dai più diretti interessati. Se sono i produttori di calcio ad insinuare che il prodotto è tarocco, perché mai i consumatori, già a corto di euro, dovrebbero acquistarlo? Ci sono prove di nuovi «disegni»? Tirarli fuori. Altrimenti meglio badare alla credibilità del giocattolo. Anche perché le polemiche sono come le ciliegie. Infatti ieri sera la Juve, che di questi tempi risponde più tempestivamente di Jimmy Connors (vedi Conte-Cassano), ha postato la replica sul suo sito ufficiale: un sintetico «NO COMMENT» in campo nero e l’invito a scaricare la relazione del Procuratore Federale, Stefano Palazzi, del 1˚ luglio 2011 che parla anche di Moratti e Facchetti. Un pareggio poco edificante tra dirigenze. Meglio ricordare la sportività dei giocatori in campo nel recente Juve-Inter. Moratti, a mente fredda, avrà modo di mettere paletti opportuni alla sua rabbia. La prima a guadagnarci sarebbe l’Inter che non ha bisogno di sperperare energie nervose. In questo momento deve imporsi invece una lucida e cruda presa di coscienza. Questa: la vittoria sulla Juve è stata splendida, ma pericolosamente illusoria, come una sirena. La partita perfetta di Torino non ha risolto d’incanto i problemi di equilibrio. La striscia vincente di Stramaccioni partì dalla consapevolezza di non potersi permettere il tridente: quindi 5-3-2. Il felice azzardo di Palacio, Milito, Cassano a una Juve fiacca e sorpresa non ha cambiato le cose. A Bergamo l’Inter è stata spezzata dalle ripartenze di Moralez. Ieri Cambiasso e Gargano hanno subito ammonizioni identiche: falli alle spalle di avversari scappati via. Sostenere quei tre davanti resta una faticaccia. La Juve, forte di una mediana poderosa, non ha concesso un tiro alla Lazio. L’Inter ha concesso tanto anche al Cagliari, Handanovic ancora provvidenziale. La Fiorentina vola con un centrocampo allegro come un luna-park. Quello dell’Inter ha volti trasfigurati (Gargano) dallo sforzo di coprire e ricucire. Costruire: poco. Qui dovrà lavorare duro Stramaccioni, una volta sbollita la rabbia. L’Inter è ancora in tempo per costruire una grande stagione. Lavoro e serenità possono aiutare, isterie e caccia all’alibi no.