Juve, il mercato delle occasioni perse
Destino cinico e baro. Ci sono piedi, tanti da farne una squadra, che vanno in giro per l'Italia e l'Europa a limare assist e a timbrare gol con la divisa sbagliata, se il rimpianto ha occhi bianconeri: la Juve li aveva corteggiati e trattati, alcuni quasi già sistemati nel carrello della spesa, ma poi lo shopping è saltato. Questione di quattrini, di regole cambiate all'ultimo momento, o di banale scelta. Non sempre volere è potere: anche se a volte è mancata la stessa voglia di agire, o di azzardare. L'ultimo ratto del nemico è stato quello di Giampaolo Pazzini. Beppe Marotta lo conosce da una vita, era stato lui a fargli il primo contratto, all'Atalanta, e avrebbe voluto dirottarlo a Torino: caro Pazzo, a giugno vieni alla Juve, il messaggio dell'ad bianconero. A gennaio s'infila l'Inter, che con 19 milioni, ma 12 in contanti, se lo impacchetta, pronta consegna. Marotta tenta il colpo, ma il bilancio non permette manovre correttive. E con i pagherò si è convinto solo Cellino, per Matri.
Al mercatino invernale, sparisce dagli scaffali un altro pezzo ipotecato dalla Juve: Luis Alberto Suarez, 24 anni, uruguaiano, stella dell'Ajax e della Nazionale. Il club bianconero lo segue da un anno, e già ha l'accordo con il giocatore: ma la riduzione a uno del numero degli extracomunitari aveva troncato tutto, l'estate scorsa. Se ne sarebbe parlato il prossimo giugno: a tre giorni dalla chiusura delle contrattazioni se lo prende il Liverpool, a 26,5 milioni di euro, dopo averne lucrati il doppio dalla cessione di Torres. Beati i Reds: Suarez segna subito, e stende pure il Manchester United, con numeri da playstation. Il vero sogno di mezza estate era però Edin Dzeko. Sul finire di luglio, il bosniaco è vicino come non mai a infilarsi la maglia bianconera, quando un mediatore arriva in hotel a Varese, base del ritiro juventino: «Edin vuol venire da voi, e rifiuta il Manchester». Basta, si fa per dire, un assegno da 30 milioni di euro. Con gli stessi, ci si costruirà quasi una squadra, avendo deciso di rottamare molti pezzi delle annate precedenti.
È stata invece questione di testa e non di soldi, il mancato ingaggio di Antonio Cassano. In (prima) fila per prenderlo, quando a Genova scoppia la lite con Garrone, c'è anche la Juve: Marotta e Del Neri, che l'hanno avuto e testato, elencano pregi e difetti, se ne discute anche a margine del cda. Si decide che il rischio è troppo elevato. E il guadagno aleatorio, come gli alti e bassi al Milan stanno poi dimostrando. Di giocatori, ne sono finiti altrove pure nelle scorse stagioni, nella ricostruzione post Calciopoli. Come Javier Mascherano, ora al Barcellona: «Nel gennaio 2007 - racconta l'ex ds Alessio Secco - l'avevo preso: sarebbe venuto in prestito, anche in serie B. Mi dissero che non si poteva, perché la proprietà del cartellino era un intreccio tra persone e società, e la Juve ha un codice etico. Lui si mise a piangere». E di nuovo Cassano: «L'avevamo in mano. Ma c'erano perplessità da parte di qualcuno. Così Van der Vaart, nell'estate 2009». Fino a Xabi Alonso, lo spot dei rimpianti: «Scegliemmo Poulsen, una decisione condivisa, al solito: io, Ranieri, Blanc e il cda. Costava la metà, ma il prezzo non c'entrava». Libero arbitrio, insomma.