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Juve, Cherubini su Paratici: 'Ha drogato il mercato. Mi sentivo che mi stavo vendendo l'anima, non volevo sacrificare i giovani'
'MI STAVO VENDENDO L'ANIMA' - In un'altra intercettazione: "Mi sentivo che mi stavo vendendo l'anima, perché a un certo punto stavo facendo delle cose, ero complice, anche per una questione di ruolo dovevo dire a Fabio 'non sono d'accordo' ma se poi lui diceva 'si va' allora si va. Gli dicevo 'vedi di sistemare la cosa, togli i ragazzi, smettiamo di fare operazioni da 10 milioni sui nostri giocatori perché sono i primi che andranno...' Paratici risponde: 'no ma figa, no ma no, non capisci un cazzo, tanto come facciamo da 4 facciamo da 10, non è un problema'".
L'ADDIO DI MAROTTA - L’addio di Marotta, nell’autunno del 2018, convince Paratici ad aumentare le responsabilità di Cherubini, che parla così: "Quando andò via Marotta tre anni fa gli scrissi e mi disse 'tu vieni con me perché farai una parte delle cose che faceva Marotta', io gli dissi 'Fabio vengo lì a fare quel lavoro sporco perché non lo vuoi fare, perché te in sede non vuoi andare, all'ufficio del personale non vuoi andare, al commerciale non vuoi parlare, ma non farò Marotta perché Marotta sarà una figura, se te la mettono, che quando tu dici compro questo, ti dice: 'Quest'operazione non si può fare' e tu probabilmente ti rimetti in mare e ne cerchi una migliore. Lui a un certo punto non aveva più questo filtro e quindi poi è entrato in un loop che per correggere quella cosa quindi non agiva per la Paratici Srl, agiva per la Juventus".
DIFFERENZA DI VEDUTE - La strategia adottata da Paratici non ha mai convinto Cherubini, soprattutto riguardo ai giovani del vivaio, utilizzati per fare plusvalenza: “C'era una differenza di vedute. Per me sacrificare dei ragazzi giovani era un peccato, per lui raggiungere lo stesso obiettivo cedendo un giocatore della prima squadra significava compromettere la competitività. Le faccio l'esempio di Kean, che abbiamo venduto e poi siamo andati a ricomprarlo. [...] Se il mercato non ci dava opportunità, polverizzare il mercato con operazioni sui ragazzi non andava bene. L'alternativa era vendere asset della prima squadra. [...] Più volte mi sono lamentato con Fabio che il valore che stavamo dando a quei giocatori non era congruo. In riunioni avute con il resto della dirigenza, si è valutato il fatto che dovevamo andare verso un progetto tecnico diverso e che il ricorso alle plusvalenze non dovesse più essere una caratteristica della nostra gestione”.