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Juve, Allegri alla Ferguson: la trasformazione dell'unico punto di riferimento
Massimiliano Allegri è passato in poco più di due giorni da possibile e sempiterno cacciato eccellente a caposaldo della nuova Juve, prossimo manager all’inglese, punto di riferimento indiscutibile per gli aspetti sportivi del club.
E’ paradossale che il progetto sognato da Andrea Agnelli per il suo allenatore - ovvero un futuro alla Alex Furgoson - lo stia realizzando, in pieno stato di necessità, il cugino drakoniano John Elkann, che di Allergi avrebbe fatto violentieri a meno se non altro per il contratto capestro (nove milioni netti, diciotto lordi) che ancora lo lega alla Juventus.
Ma rinunciare all’allenatore in carica, in questo momento, non si poteva proprio. Troppo forte la destabilizzazione della squadra, oltre a quella subìta dalla società. Allegri che, secondo alcune interpretazioni avrebbe voluto dimettersi dopo l’azzeramento del Cda, ha accettato di proseguire nel suo lavoro accollandosi anche altri orpelli.
Immaginiamo quelli del direttore sportivo, Federico Cherubini, che molti accoppiano ad Allegri per quanto riguarda la gestione sportiva. Niente di più sbagliato, secondo me. Cherubini, infatti, pur non essendo indagato, sarà certamente chiamato a deporre nelle vesti di testimone o di persona informata dei fatti quando scatterà il processo penale. Ed è opportuno che un dirigente in tale posizione processuale possa rappresentare la Juve a più livelli?
Io credo di no. Tanto è vero che, due giorni fa, Elkann non ha nominato Cherubini nemmeno come supporto di Allegri. Ecco, perciò, che l’eventuale presenza di Marco Storari, dirigente già promosso nel contesto dell’Under 23, potrebbe fare al caso di Allegri, ormai deprivato di ogni punto di riferimento. Adesso il riferimento è lui per tutti gli altri.
Ecco perchè l’allenatore è solo al comando e dovrà esibire qualità non ancora conosciute. Quel che di lui, invece, sappiamo bene è che è in grado di gestire i calciatori e lo stato di necessità, altrimenti chiamato stato di crisi. In teoria chi gioca non deve pensare ad altro, visto che alla Juve nessuno farà mancare ai giocatori, gli abbondanti stipendi a fine mese. Ma il calciatore, per rendere, deve essere tranquillo, non avere remore personali, deve sentire la fiducia di chi gli sta intorno, avere la possibilità di dedicarsi solo al pallone. In questo e per questo, Allegri è un parafulmine eccezionale. Un po’ perché ha imparato come si fa, un po’ perché, per indole, si lascia sfilare molto addosso. Ora, la gravità della situazione della Juventus non è tecnica (la squadra viene da sei vittorie consecutive ed è terza in classifica), ma gestionale, economica, finanziaria. Per affrontare tali aspetti ci sono e ci saranno Maurizio Scanavino, il direttore generale, e Gianluca Ferrero, prossimo presidente. Per tutto il resto - vittorie, sconfitte, arrabbiature, ribellioni, consenso o solidarietà - c’è Allegri.
Cosa gli si chiede? Se possibile - a meno che, poi, una praticamente certa penalizzazione la estrometta dalle prime quattro - l’approdo in Champions League e una decorosa figura in Europa League, la valorizzazione di qualche ragazzo, l’uscita di scena, dal punto di vista del mercato, di pesi morti o cavalli di ritorno (Arthur, Zakaria).
Sono sicuro, tuttavia, che Allegri, nonostante i tempi grami, un sogno lo coltivi. Ovvero la coalizzazione assoluta del gruppo, il suo totale isolamento rispetto alle difficoltà societarie, una risposta in controtendenza a chi, invece, crede che ci sarà anche un crollo tecnico. Insomma un effetto Mondiale 2006, quando dalle ceneri di Calciopoli, nacque una Nazionale italiana, tra l’altro zeppa di juventini, che seppe andare a conquistare la Coppa. Insomma una sorta di effetto Lippi a sedici anni di distanza. Impresa teoricamente impossibile. Ma, proprio per questo, più affascinante.