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Jonathan: 'Medici Inter incapaci'
ATTACCO AI MEDICI - "Presi un colpo durante la preparazione estiva, i dolori sono iniziati da lì. Su quei dolori ho giocato per tre mesi, perché i medici mi dicevano che non avevo nulla e che potevo scendere in campo: non avendo studiato medicina ho dovuto credere a loro. Ma ho finito per vedere peggiorare la situazione al punto da non potermi più allenare, sentivo male anche a salire le scale. L'infortunio arrivò a luglio 2014 e mi operai a febbraio 2015. Se mi fossi operato prima, avrei recuperato più in fretta. Per dare credito ai medici, ho ritardato di molto l'intervento. E' stato un momento molto difficile per me, molta gente dubitava perché credendo ai medici era convinta che non avessi nulla. Ero anche in scadenza con l'Inter e sapevo che un'operazione avrebbe ridotto le mie possibilità di rinnovo. Venivo da un momento molto positivo, giocavo spesso e nel club c'era un morale alto. Ma la lesione ha fatto sì che queste cose venissero dimenticate. Il calcio è questo, non posso lamentarmi. Evidentemente Dio aveva ancora qualcosa di meglio per me. Ma sono sconvolto dal modo in cui fui trattato: la riabilitazione la feci completamente in Serbia, da solo, lontano dalla famiglia con mia moglie in dolce attesa, perché avevo perso completamente fiducia nei medici dell'Inter. La loro fu una negligenza molto grave, anche se non mi piace giudicare le persone. Non ci si può operare dopo sei-sette mesi da un infortunio. Non ho nessun problema con il club, solo con lo staff medico. A causa di questo è sfumata la mia intenzione di restare all'Inter, che mi voleva tenere. Si parlava del mio rinnovo, sono anche andati dal mio agente, ma hanno deciso di aspettare il mio rientro in campo, cosa che non avvenne. Alla fine il mio ex procuratore è riuscito ad ottenere per me il via libera ad allenarmi nelle strutture del Partizan Belgrado. L'Inter pagò l'operazione, io mi pagai la riabilitazione".
SUL RITORNO IN PATRIA - "Avevo proposte in Italia, da Genoa, Atalanta e Torino. Ma con mia moglie abbiamo convenuto che era meglio rientrare in Brasile per nostro figlio che stava per nascere. E anche perché le offerte non erano attraenti, non si trattava di grandi club europei. Ho voluto tornare per giocare in un club di alto livello, avevo 29 anni, molti giocatori tornano ancora più vecchi. Potevo giocare in un club minore lì, ma qui al Fluminense gioco in una squadra di alto livello e posso continuare a cullare il sogno della Nazionale. Il campionato brasiliano è più competitivo, in Europa le piccole sono molto inferiori rispetto alle big".