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Italia, oriundo non è una parolaccia
Oddio, ci fu un periodo nel quale la nostra nazionale era talmente malmessa che pur di trovare un rimedio vennero convocati e fatti giocare anche gli oriundi. Altafini, Sivori e Maschio per esempio. Un italo-brasiliano e due italo-argentini. In Cile ci fecero neri egualmente a suon di gol, sputi in faccia e pugni volutamente ignorati dall’arbitro. Sicchè, subito dopo, si tornò alla filosofia autarchica per la serie donne e buoi (e anche calciatori) dei paesi tuoi. La parola oriundo tornò ad essere una parolaccia da non dover pronunciare. Almeno non in Italia. Perché, sicuramente con una dose minore di ipocrisia, in Germania, in Francia e in Spagna per il calciatore che viene impiegato con la maglia delle rispettive nazionali dai tempi di Puskas e Di Stefano a quelli di Zidane, Eusebio e Diego Costa viene usato il termine “integrati”.
Apriti cielo quando Antonio Conte comunicò, a marzo, che nella lista dei suoi possibili convocati in Francia c’erano Eder e Vazquez. I “puristi” del lessico pallonaro di casa nostra, guidati da un Roberto Mancini scatenatissimo (lui che in squadra forse non avrà manco più il magazziniere italiano), intrapresero una crociata contro lo straniero rispolverando il termine “oriundo”. Sicuramente oggi, dopo l’impresa di Eder alla “Roberto Baggio” in azzurro, tornerà a scrivere o a pronunciare la vecchia parola. Vada sereno e anche orgoglioso il mezzo sangue brasiliano. Oriundo non è più un insulto.