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    Italia-Belgio, la Storia siamo noi

    Italia-Belgio, la Storia siamo noi

    Nel salotto di una casa italiana. Una sera qualunque di un giorno qualsiasi. Il giornalista del tiggì  ha appena letto una notizia di sport. Il ragazzo, interessato, ha sollevato lo sguardo abbandonando per un momento l’Ipod. L’anziano signore ha chiuso il giornale che stava leggendo, spento il mezzo toscano nel posacenere e ha sospirato. Un lungo sospiro. Quasi un lamento.

    Che c’è nonno, qualcosa no va? Se non smetti di fumare…
    “No, sto benissimo. Sono sessant’anni che fumo. Forse di più. E’ ce ho sentito la notizia dell’Italia che, agli Europei in Francia, dovrà giocare contro il Belgio”.

    Già che tu sei tifoso, nonno. Ci è capitata la squadra più forte del momento, secondo le statistiche. Una bella sfiga.
    “Essì. Sono forti. Soprattutto sono giovani tutti quanti e hanno tanta voglia. Ma non è per quello che sospiravo. Il pallone non c’entra questa volta. Perlomeno c’entra poco. E’ sentire quella parola lì, Belgio, che ho provato dentro uno scossone. Un ciclone di emozioni tutte insieme frullate dalla memoria”.

    Sono passati tanti anni, nonno, da quando sei tornato da quella piccola città. Come si chiama…Mons, vero?
    “Proprio lei. Avevo dodici anni quando mio padre, il tuo bisnonno, decise che a Cormons dove vivevamo non era più possibile andare avanti. Alla fame si aggiungeva la sete e le ferite della Grande Guerra erano ancora aperte. Per noi contadini non c’era futuro. Arrivò quell’opportunità, per noi e per tanti altri compaesani. Non ce la facemmo scappare. In Belgio ci aspettavano le miniere di carbone. Pensa un po’. Noi abituati a lavorare sotto il cielo aperto che finivamo sotto terra. Eppure…”

    Eppure che cosa nonno,  perchè ti fermi?
    “Niente. Mettevo in ordine i ricordi. Alla mia età le immagini si confondono. Vento e freddo li sento ancora adesso. I francesi, scherzando, dicono che in Belgio per tre mesi all’anno nevica e che per il resto piove. Non sbagliano di tanto. Sai noi friulani e veneti eravamo un po’ abituati. Ma i siciliani e i calabresi che arrivarono in massa dopo di noi diventavano matti con quel clima. Prendere o lasciare, però. Resistemmo quasi tutti. Eravamo gli albanesi dell’epoca, come qua da noi adesso. Con una differenza".

    Quale differenza, nonno?
    “Che, poco alla volta, ci integrammo perfettamente con i belgi i quali ci misero nelle condizioni di vivere in maniera dignitosa. Non sono mai stati razzisti, là. Subito formammo una comunità tutta nostra. Poi, lentamente ma senza danni o conflitti, entrammo reciprocamente in contatto. Fidanzate, mogli, figli. Non più baracche dormitorio, ma casette piccole, bianche e pulite. I belgi imparavano l’italiano e noi il fiammingo o il vallone. La musica, spesso, faceva da tramite”

    Che tipo di musica?
    “Quella che cantavano i figli della nostra gente. Due di oro diventarono famosi. Si chiamavano Salvatore Adamo e Rocco Granata. Il primo vendette milioni di dischi  e venne ricevuto a corte dalla regina Paola, anche lei italiana. Il secondo sfondò in tutto il mondo con la sua canzone Marina. Intanto era passata anche la seconda Guerra Mondiale. L’Europa aveva tremendamente necessità di carbone. Un’altra ondata di italiani arrivò in Belgio. Alla fine eravamo più di centosessantamila sparsi sul territorio. Poi un giorno….”.

    Nonno cosa fai, piangi?
    “Scusa, noi anziani ci commuoviamo spesso. Ma ne ho buoni motivi. Era l’otto di agosto nel 1956. Nel cuore della terra in un posto chiamato Marcinelle scoppiò l’inferno. Dentro quella miniera morirono in una sola volta 282 persone tra uomini e donne. Centotrentasei erano italiani. Un olocausto sull’altare della fatica e del lavoro duro. Da quel giorno la vita non fu più la stessa. Non per me almeno. La notte avevo incubi continui e il giorno, ogni volta che dovevo scendere dentro la miniera, mi prendevano  attacchi di panico. Però dovevo resistere. Stavamo bene e non ci mancava nulla. Lottai contro quei fantasmi ancora per qualche anno. Poi mi arresi come Napoleone a Waterloo che qualcuno pensa sua in Francia o in Germania. Tornammo a casa. L’esperienza fatta permise a me e poi a tuo padre di trovare lavoro. E, da quel giorno, il Belgio lo vissi soltanto attraverso i campioni dello sport come Vincenzino Scifo che giocò nel Torino e nell’Inter oppure Eddy Mercx che chiamavano il cannibale. Eppoi i libri di Simenn. Sai l’ispettire Maigret. Li ho tutti. Però abbiamo ancora un sacco di amici a Mons. Ci sentiamo per Natale e ci scriviamo".

    Come dire che ti senti un poco belga, nonno?
    “Esattamente quanto i belgi si sentono italiani. Due Paesi in uno, insomma: Molto del nostro sangue circola nelle vene di chi abita lassù. Abbiamo scritto tanta Storia insieme. Ecco perché Italia-Belgio, tra qualche mese, non sarà una partita come tutte le altre”.

    Marco Bernardini

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