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    Italia 1934, quando il fascismo capì il valore propagandistico del calcio

    Italia 1934, quando il fascismo capì il valore propagandistico del calcio

    • Alessandro Bassi
      Alessandro Bassi
    Il 1934 è l'anno dei Mondiali di calcio italiani. Il mondiale del Duce e dell'organizzazione fascista. È anche il mondiale che in un certo qual modo fa da apripista all'utilizzo dello sport da parte dei governi autoritari per incrementare il loro prestigio a livello internazionale e per propagandare i propri valori peculiari.

    IL CALCIO DEI TOTALITARISMI - Con gli anni'30 del XX secolo il calcio ha ormai raggiunto a livello internazionale un'importanza e un seguito tale da renderlo un fenomeno significativo per le relazioni internazionali. Già con gli anni'20 un po' tutti i governi avevano compreso bene come lo sport fosse uno strumento utilissimo ed efficace per accrescere il proprio prestigio internazionale, tanto che una vittoria di un atleta in un evento sportivo di rilievo internazionale da un lato aumentava il senso di appartenenza delle masse e dall'altro ingigantiva il prestigio internazionale del regime stesso. Più e meglio di tanti giri di parole, il concetto venne spiegato in maniera cristallina da Mussolini durante il raduno degli atleti italiani tenutosi a Roma il 28 ottobre del 1934, qua ripreso dalle pagine de La Stampa:

    Voi, atleti di tutta Italia, avete dei particolari doveri. Voi dovete essere tenaci, cavallereschi, ardimentosi. ricordatevi che quando combattete oltre i confini, ai vostri muscoli e soprattutto al vostro spirito è affidato in quel momento l'onore e il prestigio sportivo della Nazione. Dovete quindi mettere tutta la vostra energia, tutta la vostra volontà, per raggiungere il primato in tutti i cimenti della terra, del mare e del cielo”.

    Concetto che comprese molto bene anche la FIFA che dovette fare i conti con l'uso politico del calcio da parte dei vari governi, il primo dei quali fu proprio quello italiano. Il fascismo, infatti, intuisce ben presto tutte le potenzialità politiche dello sport e del calcio in particolare e da subito li inserisce quali parti integranti del progetto totalitario del regime. Il passo internazionale decisivo venne compiuto al meeting della FIFA di Zurigo del 1932 quando ufficialmente la candidatura italiana ad ospitare e organizzare la Coppa del mondo diventò effettiva.

    CALCIO E POTERE IN ITALIA - Con la metà degli anni'20 il fascismo iniziò ad interessarsi anche al mondo dello sport e del calcio, nell'idea di modernizzarne le strutture esistenti. La stessa F.I.G.C. più volte aveva lamentato lo scarso interesse dello Stato nei confronti dello sport in generale e del calcio in particolare, ma qualcosa proprio verso la metà del decennio iniziò a mutare: la progressiva fascistizzazione delle strutture sociali e statali ad opera del regime toccava anche il mondo dello sport che intanto si andava saldando sempre più a quello dell'istruzione con la legge n. 2247 del 3 aprile 1926, legge che istituiva l'Opera Nazionale Balilla per l'assistenza e l'educazione fisica e morale della gioventù. Con detta legge e con i successivi R.D. Del 20 novembre 1927 e del 12 settembre 1929 il regime “metteva le mani” sull'insegnamento dell'educazione fisica nelle scuole attraverso un sistema di controllo nuovo rispetto alle esperienze passate poiché anche se l'ONB agiva al di fuori della scuola, allo stesso tempo essa era all'interno della scuola medesima in quanto gli insegnanti di ginnastica passavano direttamente alle sue dipendenze.

    Momento spartiacque fondamentale fu senz'altro l'emanazione nell'agosto del 1926 della cosiddetta Carta di Viareggio, la famosa riforma di tutto il calcio nazionale voluta dal regime con la quale cambiava un po' tutto. Soprattutto la riforma attuata attraverso la Carta di Viareggio statuiva che le cariche federali smettevano di essere elettive per passare ad essere nominate. Insomma il regime si impossessava del calcio creando un rapporto di reciprocità nel quale entrambi ottenevano vantaggi: popolarità e prestigio per il regime fascista, impiantistica nuova e modernizzazione per il calcio.

    A questo punto per poter irrobustire il prestigio internazionale al regime mancava solo di organizzare una grande manifestazione sportiva.

    ITALIA 1934 - Come scritto, l'8 ottobre del 1932 la F.I.F.A. assegnò con voto unanime all'Italia l'organizzazione della seconda edizione della Coppa del mondo di calcio. La macchina organizzativa fascista fu perfetta e non sarebbe potuto essere altrimenti: il Duce era ben consapevole dello strumento che aveva in mano per accrescere il proprio prestigio agli occhi del mondo, giusto nel suo momento di massima popolarità internazionale. Gli anni'30 erano gli anni di massimo splendore del regime fascista: all'interno la costruzione del regime totalitario poteva dirsi compiuta, con l'appiattimento morale della società ai diktat del regime e all'esterno l'Italia godeva ancora di un buon prestigio e soprattutto era ancora percepita come una Nazione stabile, affidabile. Quindi nell'organizzazione della Coppa del mondo nulla venne lasciato al caso. A partire dalle eliminatorie. 32 Federazioni si iscrissero al torneo, rendendo necessario un primo turno di qualificazione. All'epoca il Paese ospitante non era ancora qualificato d'ufficio e dunque nel marzo del 1934 l'Italia dovette giocarsi la qualificazione contro la Grecia. Su quell'incontro tanto si è scritto qua basti dire che il 4 a 0 con cui l'Italia liquidò gli avversari fece stare tranquilli la FIGC, il CONI e, dunque, il PNF. Tra le 16 nazionali che parteciparono così alla fase finale solo 6 erano state presenti alla prima edizione della Coppa del mondo quattro anni prima. L'assenza di maggior peso, a parte le britanniche, fu senz'altro quella dell'Uruguay. La Celeste non venne in Italia a difendere il titolo di campione del mondo intanto in risposta al rifiuto italiano di andare nel 1930 a Montevideo e poi anche per ragioni legate al professionismo dei calciatori e alla conseguente emorragia degli stessi verso più remunerativi Paesi, uno di questi proprio l'Italia. Detto, infine, che Argentina e Brasile portarono rappresentative prive dei migliori calciatori, la vera favorita del torneo venne indicata nell'Austria di Hugo Meisl, il Wunderteam di quegli anni, anche se Ungheria e Cecoslovacchia erano reduci da vittorie contro la Nazionale inglese e quindi erano anche loro da tenere d'occhio. Per quel che riguarda l'Italia giocava in casa, aveva vinto la Coppa Internazionale ed era irrobustita da ben cinque oriundi, due dei quali avevano giocato la finale di quattro anni prima vestendo i colori dell'Argentina.

    Affinché l'immagine dell'Italia fosse splendente agli occhi del mondo il fascismo non badò a spese. Vennero costruiti nuovi e imponenti stadi, ammodernato il sistema dei trasporti interni, istituiti premi e lotterie per il finanziamento della macchina organizzatrice. Come rileva Ghirelli nella sua fondamentale Storia del calcio in Italia l'organizzazione fu curata nei minimi dettagli, furono creati dalla FIGC sei uffici, ognuno dedicato ad un singolo aspetto della manifestazione: amministrativo, tecnico, viaggi e alloggi, stampa e propaganda, ricevimenti ufficiali, congresso FIFA. Non solo. Per la prima volta EIAR e Istituto Luce misero in campo un apparato faraonico, coprirono l'intera manifestazione garantendo anche a chi abitava in luoghi remoti, lontani dalle principali città, di seguire al cinema i riflessi filmati delle azioni più importanti delle partite.

    Il mondiale italiano fu un trionfo per la Nazionale di Vittorio Pozzo e fu un trionfo personale per Mussolini. La Nazionale, anche grazie ad arbitraggi a volte compiacenti, passò dalla facile vittoria contro gli Stati Uniti alla “battaglia” durata ben due partite contro la Spagna per arrivare, dopo aver vinto in semifinale contro il Wunderteam, all'apoteosi nella finalissima di domenica 10 giugno, quando allo stadio del PNF a Roma la squadra di Pozzo batté la Cecoslovacchia laureandosi al cospetto del Duce campione del mondo. Fu quello della Nazionale italiana, però, anche uno straordinario trionfo del Duce – che il giorno della finale acquistò simbolicamente il biglietto – e per il partito e la struttura fascista in generale.

    (Alessandro Bassi è anche su http://storiedifootballperduto.blogspot.it/)
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