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    Inter, la Cina frena ancora Suning

    Inter, la Cina frena ancora Suning

    Due input dall'esterno hanno frenato le ultime due campagne acquisti dell'Inter. E molto probabilmente sarà anche lo stesso nel prossimo mercato estivo. Il fair play finanziario Uefa da una parte, i diktat del governo cinese alle aziende private come Suning dall'altra. 

    MENO CRESCITA - La Repubblica in edicola oggi analizza il cambiamento dell'economia in Cina. Ordinato dal presidente Xi Jinping: dalla crescita matta e disperatissima che l'ha resa fabbrica del mondo con costi sociali e ambientali enormi a uno sviluppo di "alta qualità" più sostenibile ed equo. Anche sacrificando, se necessario, qualche decimo di Pil. 

    NUOVA ERA - Ieri è stato il premier Li Keqiang, fedele al pensiero di Xi e a 45 pagine di discorso prestampato, a tradurre questa "nuova era" in numeri, di fronte all'Assemblea del Popolo riunita nella Grande sala di Piazza Tienanmen. Nel 2017 l'economia cinese ha battuto di quattro decimi le previsioni, al 6,9%, ma per quest'anno l'asticella delle attese viene rimessa allo stesso livello, +6,5%. E omettendo la canonica formula "più in alto se possibile". «Per Pechino non si tratta più di un obiettivo minimo – spiega l’economista di Asia Analytica Pauline Loong – ma del massimo raggiungibile». 

    FRENATA - La Cina rallenta, ma l'ardita scommessa di Xi, per la stabilità del Paese e del suo stesso potere, è che possa assorbire la frenata. Necessaria invece a disinnescare le mine che minacciano di esploderle sotto i piedi. La principale si chiama debito, arrivato oltre il 250% del Pil, e non a caso nelle tabelle di Li è prevista una riduzione del disavanzo dal 3 al 2,6%, livelli su cui neanche i falchi di Bruxelles avrebbero da obiettare. Ai governi locali si chiede di "stringere la cinghia", ieri Xi lo ha detto di persona ai delegati della Mongolia Interna, tra le regioni con le voragini più preoccupanti. Quanto al governo centrale, gli investimenti non saranno ridotti, ma concentrati su priorità: infrastrutture, tecnologia, spese militari. Già, ieri Pechino ha rivelato che il budget per le forze armate quest'anno crescerà dell'8,1%. Molto più del Pil, al contrario di quanto assicurava un portavoce solo qualche ora prima. Un annuncio che ha fatto sobbalzare i vicini asiatici, sempre più preoccupati dalla decisione con cui la Cina proietta il suo potere oltre confine. 

    PRIVATI - Ma più ancora del debito pubblico, è la bolla di quello privato che Xi sembra avere urgenza di disinnescare. Il messaggio ai rampanti capitali cinesi è già partito nei giorni scorsi, con il commissariamento di due colossi privati come Anbang (assicurazioni) e Cefc (petrolio), e la minacciosa incriminazione dei loro fondatori: l'epoca dell'espansione a tutti i costi deve finire. Li Keqiang ha annunciato una "repressione" contro chi architetta acrobazie finanziarie. Mentre il regime si prepara a cambiare faccia alle autorità di regolazione: rafforzare quella bancaria, o addirittura fonderla con quella assicurativa. Una maxi authority la cui regia potrebbe essere affidata al braccio destro economico di Xi, Liu He. 

    RINCORSA AGLI USA - È un percorso in bilico tra normalizzazione e depressione, tra controllo del partito e stimolo dell'imprenditoria. L'obiettivo dichiarato, quel "benessere moderato" che nel 2035 porterebbe il Paese al livello degli Stati Uniti. Per raggiungerlo Xi ha altre due battaglie da vincere: contro diseguaglianze e inquinamento. Aspettiamoci pochi prigionieri. Per far uscire altri dieci milioni di cittadini dalla soglia dell’indigenza, nel 2018 il regime è pronto a "ricollocarne" quasi 3 milioni, spostandoli d’autorità dalle zone più remote del Paese verso aree più sviluppate. E per abbassare i consumi energetici (il 3% in meno per ogni punto di Pil), riconsegnando ai cinesi i "cieli azzurri" oscurati dalle emissioni, è pronto a chiudere dall'oggi al domani le industrie più inefficienti, in particolare acciaio e carbone. Significa cancellare migliaia posti di lavoro nella "cintura della ruggine" del Nordest, il cuore della vecchia industrializzazione cinese. Possibile, come promette il governo, che nel frattempo ne nascano altri 10 milioni nelle città, spinti da hi-tech e digitale. Ma altrove, a Shenzhen o Shanghai, per altre persone. "Prima la qualità", per la Cina si annuncia quindi una rivoluzione dolorosa. Un salto di dieci anni, se non quindici o venti, con l'altissimo rischio di rimanere a metà del guado. È questo il tempo che Xi sta cerando di costruirsi, smantellando i cicli decennali che avevano contenuto i leader precedenti. Ma sapendo che solo mantenendo le promesse, quel tempo riuscirà davvero ad averlo. 

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