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Inter, Eriksen ora è determinante: un autogol lasciarlo partire
La storia del danese triste, anzi “timido”, come lo ha definito Conte dopo la sua prodezza di martedì sera, la conoscono tutti. Basta ricordare le frasi di Marotta che aveva manifestato l’intenzione di cederlo “per dargli lo spazio che merita in un’altra squadra”. E soprattutto basta ricordare le umilianti briciole di partita che Conte gli aveva lasciato troppe volte fin qui. Un altro, al suo posto, non avrebbe nascosto la delusione, o peggio si sarebbe rifiutato di entrare. Eriksen, invece, da grande professionista qual è, non ha mai fiatato e anche l’altra sera nel derby è entrato in campo come se la partita stesse incominciando e non finendo. Questione di educazione, tipica dei danesi, da non scambiare con la timidezza che comunque non è un difetto. Giancarlo Antognoni, per citare un altro grande centrocampista, era altrettanto timido eppure trovò posto in mezzo a tanti juventini che come Bearzot apprezzavano le sue grandi qualità, diventando campione del mondo con loro nel 1982 in Spagna.
Per citare altri danesi, è facile pensare ai fratelli Laudrup, oppure all’ex interista Helveg, ottimi o buoni giocatori, tutti silenziosi ed educati che non avevano bisogno di urlare in campo per rendersi utili alla squadra. Eriksen, rispetto a Helveg, ha una classe superiore e soprattutto un passato che parla chiaro perché non è soltanto un punto fermo della nazionale danese, ma è anche un ex ancora stimato e rimpianto nel Tottenham, dove l’Inter l’ha prelevato proprio nel gennaio di un anno fa.
Quello che stupisce, quindi, non è il suo gol su punizione, come non stupì quel suo tiro della stagione scorsa quando colpì l’incrocio dei pali sempre contro il Milan, bensì il suo isolamento nell’Inter, con la prospettiva sempre più concreta di essere ceduto al miglior offerente. Ma siccome anche nel calcio ci sono le “sliding doors” che cambiano improvvisamente i destini, un po’ perché l’Inter non aveva ancora ricevuto l’offerta giusta e un po’ perché Conte si era di nuovo ricordato di lui nel finale dell’ultimo derby, Eriksen da brutto anatroccolo si è trasformato nel principe della salvezza.
E adesso, quindi, sarebbe un peccato, o meglio un autogol, lasciarlo partire. Uno come lui, se non dall’inizio nel ruolo di regista o di mezzala, potrà essere determinante anche entrando nel corso della partita come l’altra sera. E siccome le sue punizioni non sono il frutto del caso ma una autentica specialità, quante volte potrebbero servire in futuro per sbloccare una partita bloccata sul pareggio come nell’ultimo 0-0 a Udine? D’accordo, non potrà andare sempre bene, perché non sempre si ha una punizione a favore a pochi minuti dalla fine quando si sta pareggiando, ma potrebbe ricapitare magari contro la Juventus in coppa Italia o nel ritorno di campionato, oppure in una gara apparentemente “abbordabile” come si dice spesso, tipo quella di Genova dove l’Inter è stata sconfitta dalla Sampdoria. E allora, anche se la timidezza non gli andrà mai via, come la classe del resto, Conte farà bene a tenersi stretto Eriksen. Perché, parafrasando la frase di Marotta, è giusto dargli più spazio. Nell’Inter, però, non in un’altra squadra.