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    Inter: cambiare per crescere

    Inter: cambiare per crescere

    • Mauro F. Giorgio

    Squadra che vince non si cambia, ma squadra che vince non è l’Inter o almeno l’Inter delle penultime 3 giornate di campionato, dalla gara interna col Pescara. In vista del confronto casalingo col Chievo qualcosa doveva cambiare, una questione di mentalità, di psicologia più che di modulo, un quid nella testa di società, allenatore e giocatori. Forse l’ennesima rivoluzione annunciata, forse no, solo questione di ruota che torna a girare, magari con il ritorno di Milito (che guardacaso… ), uno Stankovic che può sempre tornare utile (se non altro allo spogliatoio), magari con l’innesto giusto (Kuzmanovic, Kovacic (?)… ) o forse con giocatori che riuscendo ad inquadrare meglio gli obiettivi dietro l’ombra del fallimento stagionale riescono a fare cose che prima non facevano (Cassano, Nagatomo… ). Qualcosa di fatto è cambiato e l’Inter è tornata a vincere, e pure davanti al suo pubblico.

    Per rispondere allo striscione comparso ieri sugli spalti del Meazza, il rispetto nei confronti dei tifosi c’è sempre stato, la chiarezza non sempre, il progetto chissà. Quella attuale è decisamente una stagione di transizione e lo si sapeva, ma una società come l’Inter non può permettersi il lusso di transire senza centrare qualche obiettivo, e in fin dei conti qualche obiettivo è rimasto: terzo posto, Europa League, Coppa Italia. Traguardi che sono lì, visibili, raggiungibili ma attraverso un percorso di crescita che passa per psicologie, condizione fisica, e soprattutto convinzione della propria identità e dei propri mezzi, così com’è successo domenica nel match col Chievo. Il tempo è poco, Stramaccioni lo sa e conosce quali sono i suoi punti di forza, primo fra tutti la consapevolezza del valore inestimabile del suo attacco.

    Ed è ripartito proprio da lì Stramaccioni per preparare la partita contro l’undici di Corini. La grande qualità del suo tridente, la considerazione del fatto che l’Inter può giocare bene solo se gioca in funzione del suo attacco. In molti hanno pensato che la colpa di tutti i mali dell’Inter fosse la difesa a tre, andata in bambola in parecchie occasioni, soprattutto per l’assenza di un perno inamovibile come Samuel, e che fosse necessario operare dei cambiamenti a partire da quella linea difensiva così mal disposta. Invece no, la ri-costruzione della squadra è avvenuta partendo dall’unica certezza stramaccioniana: la triade Cassano-Milito-Palacio. Il 4-3-3 ne è stata la sua logica conseguenza non potendo contare su Guarin squalificato e Kovacic infortunato all’ultimo minuto. Non deve stupire dunque se domenica a Firenze l’Inter varierà ancora modulo presentandosi con un più prudente 4-2-3-1. La difesa con una linea a quattro ha funzionato di più e gli errori si sono presentati più in fase di marcatura su palla inattiva, o in quello svarione sul goal di Rigoni, con dei terzini così la difesa a 4 non dovrebbe avere problemi di solidità. Il centrocampo è stato un capolavoro: Kuzmanovic davanti alla difesa ha perso qualche contrasto di troppo ma ha convinto, Cambiasso è stato spostato sulla fascia destra perché ha meno polmoni di Gargano, chiamato a coprire la scarsa mobilità di Cassano in fase di rientro, un Gargano inesauribile lì nel mezzo che ha fatto tanta legna e si è permesso pure una parabola su punizione quasi perfetta, la vera chiave del successo del match. Quando questo tipo di struttura ha prodotto gioco e il Principe ha posto il suo inconfondibile sigillo sulla supremazia nerazzurra contro un Chievo comunque sempre vivo e pericoloso tramite l’asse Andreolli-Rigoni-Thereau, Stramaccioni ha potuto tranquillamente virare su un 4-4-2 inserendo Schelotto e Alvarez, pedine non sottovalutabili per quanto riguarda la gestione di alcuni finali di partita.

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