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    Insulti a Capello, Mancini alla Roma, il no ai 27 mln del Real: le verità di Totti

    Insulti a Capello, Mancini alla Roma, il no ai 27 mln del Real: le verità di Totti

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    L'autobiografia di Francesco Totti, uscita in tutte le librerie e in vendita da oggi a mezzanotte, sta già scatenando numerose polemiche e reazioni per quello che contiene al proprio interno. Non bastasse la corposa fila di persone per acquistarla, nel giorno del 42esimo compleanno della bandiera giallorossa,  'Un capitano' sta stravolgendo il mondo del calcio nostrano, con alcuni aneddoti degni di nota. Ecco alcuni estratti che ci  hanno colpito particolarmente, in merito a diversi argomenti e rapporti con colleghi e allenatori:

    SULL'OFFERTA DI BRAIDA QUANDO AVEVA 12 ANNI - "Nella mia carriera ci sono stati tre momenti in cui la possibilità di andarmene da Roma è stata concreta. Ve li racconterò tutti, a cominciare dal primo, che si verifica un giorno dell’estate dell’88, quando Ariedo Braida bussa alla porta di via Vetulonia. La visita, annunciata da una telefonata soltanto poche ore prima, mette tutta la famiglia sottosopra. Braida è il direttore generale del Milan campione d’Italia: braccio destro di Galliani, è l’esperto di calcio della formidabile macchina organizzativa allestita due anni prima da Silvio Berlusconi per rilanciare il club rossonero. Il fatto che voglia vederci testimonia ovviamente il suo interesse per me. Viene fatto accomodare in salotto, di fronte a lui si siedono mamma e papà, Riccardo è loro accanto, io sono in un angolo della stanza, come se la cosa non mi riguardasse. E in effetti, mi rendo conto di non avere diritto di voto. A dodici anni sarebbe un po’ presto. «Cari signori Totti» è il succo del discorso di Braida, che non smette di tormentarsi il nodo della cravatta, «il presidente Berlusconi sta facendo grandi investimenti per riportare il Milan fra le squadre migliori del mondo. Nei primi due anni abbiamo ingaggiato sia in Italia sia all’estero numerosi campioni, ma nella nostra tradizione c’è anche la cura del vivaio per creare in casa gli assi del domani: pensate a Paolo Maldini, il simbolo della nostra politica. Il Milan conta a Roma su numerosi osservatori, e tutti ci hanno segnalato le grandi qualità di vostro figlio Francesco. Saremmo felici se si unisse a noi, trasferendosi a Milano. È molto giovane, certo: ma dalle persone che lo seguiranno e avranno cura di lui alle scuole che sceglieremo insieme fino al centro sportivo di Milanello, che sarà la sua nuova casa, vi garantisco personalmente il miglior percorso possibile di crescita umana e calcistica. Non sarei qui a proporvelo, se avessi anche un solo dubbio. Francesco ha potenzialità enormi: nessun club può aiutarlo a svilupparle meglio del Milan.» Concluso il discorso, è il momento della mossa a sensazione. Braida estrae dalla borsa portadocumenti che ha portato con sé una maglietta rossonera della mia taglia e mi invita a prenderla. Aspetto un cenno di assenso da parte di mamma, poi mi alzo e la raccolgo dalle sue mani. Braida lascia anche intendere che non dovrei trasferirmi subito per forza. Se la famiglia dovesse ritenermi ancora troppo piccolo – e certamente è così – il Milan non avrebbe problemi a lasciarmi ancora uno o due anni alla Lodigiani; la cosa importante è firmare un accordo che tagli fuori le altre grandi società che – sono parole sue – «inevitabilmente busseranno alla vostra porta. Noi del Milan siamo arrivati prima grazie alla nostra organizzazione, ma se Francesco continuerà a crescere così, presto avrete la fila qui fuori». Braida è un vero signore, non cerca di portarmi via dicendo che il suo sarà l’unico treno a passare, ma il migliore. Accenna appena al fatto che è pronto un assegno per sostenere le spese di viaggio della famiglia per venirmi a trovare, ma la cifra lascia a bocca aperta: centocinquanta milioni, a quanto poi ho saputo gli stessi offerti dal Milan alla Lodigiani. Quando gli stringo la mano per salutarlo, mi invita ad alzare lo sguardo perché ce l’ho fisso a terra: «Un giorno i tuoi occhi
    potrebbero dominare San Siro. Tienili belli alti, ragazzo».

    SUL LITIGIO CON CAPELLO - Dopo l’amara conclusione di quel campionato, come dicevo, Capello è furibondo. Un paio di giorni dopo, a Trigoria, litighiamo di brutto: da una parte io, Samuel ed Emerson (sì, Emerson, che pure era portato sempre a esempio di professionista virtuoso), dall’altra il mister, che imputa ai nostri allenamenti troppo blandi gli ultimi tre risultati. «Non ci avete messo l’impegno necessario» grida, ed è un’accusa che voglio tirarmi via di dosso perché non vera: abbiamo giocato male, su questo c’è poco da contestare, ma con lo scudetto in ballo l’impegno c’è stato eccome. Siamo affranti come e più di lui, e per questo la nostra reazione è dura come le sue critiche. Siamo sgradevoli, certo. Gli diamo del chiacchierone e del falso, gli diciamo che canta Grazie Roma soltanto quando vede che la telecamera lo sta inquadrando. Cattiverie assortite frutto di una stagione finita male, ma nulla di trascendentale né di definitivo. Nulla che non possa venire chiarito alla ripresa dell’attività."

    SUL CONSIGLIO ALLA SENSI: 'PRENDI MANCINI!'. MA ARRIVA RANIERI - La convocazione arriva a metà pomeriggio: Rosella aspetta a Villa Pacelli gli anziani della squadra. Con me salgono De Rossi, Pizarro e Perrotta, e troviamo lì Conti e Pradè già seduti accanto alla presidente. Dopo le dimissioni di Spalletti ci dicono di essere indecisi fra Mancini e Ranieri, e vorrebbero il nostro parere: senza neppure bisogno di consultarci “votiamo” tutti per Mancini, che ha vinto da poco gli scudetti con l’Inter e ha un profilo evidentemente più internazionale. Sarebbe una scelta di spessore, ha la stima di tutti. I dirigenti ringraziano, lasciamo la villa sull’Aurelia convinti che il club abbia in mano entrambi gli allenatori e che la nostra indicazione sia servita a rompere l’equilibrio. Torno a casa, gioco un po’ con Cristian, all’ora di cena accendo la tv: «La Roma ha ufficializzato l’ingaggio di Claudio Ranieri come nuovo allenatore. Il tecnico di Testaccio ha firmato un contratto per due stagioni». Resto allibito per un lungo attimo, poi cominciano a girarmi le scatole: allora che me lo chiedi a fare?

    SULLA TRATTATIVA COL REAL MADRID E LE PAROLE DI BECKHAM E ZIDANE - "Non incontro Bronzetti né il suo assistente Giampiero Pocetta, però vengo a sapere che alla fine hanno parlato con qualcuno della società: Pérez vuole tornare alla carica, anche perché non vince niente da due stagioni, e il nome che ha scelto per proseguire la collezione di Galacticos – arricchitasi nel frattempo di Beckham e Owen – è nuovamente il mio. Stavolta, però, sa che la Roma non è più nelle condizioni di forza del 2001 ed è quindi intenzionato ad agire con altra determinazione. Quella sera al Bernabéu andiamo in vantaggio 2-0 con i gol di De Rossi e Cassano, ma il Real è un temporale che quando si scatena non ti lascia scampo: vince in rimonta 4-2 – ricordo lo splendido suggello di Roberto Carlos – e alla fine le sue stelle, da Beckham a Zidane, vengono ad abbracciarmi dicendo cose che suonano più o meno come "Abbiamo saputo che presto saremo compagni”. Provo una sensazione stranissima. I migliori giocatori del mondo sono pronti ad accogliermi, e io non ne so niente. Mentre la stagione va di male in peggio, e dopo Delneri tocca a Bruno Conti il compito di salvarci, Bronzetti passa ciclicamente per Roma annunciando l’arrivo dell’offerta ufficiale nel momento in cui la squadra si sarà tolta dalla zona retrocessione. Un tocco di classe, molto madridista. A quel punto anch’io vengo informato direttamente di quel che sta per succedere, e il giorno dopo la vittoria sull’Atalanta che ci garantisce la salvezza – siamo al 22 maggio – l’offerta arriva sul serio."

    SU NEDVED - "Quel giorno Nedved è in forma irresistibile, e mi costa dirlo perché in campo non l'ho mai sopportato: un piagnone allucinante, lo sfioravi e volava a dieci metri, ti faceva venire voglia di picchiarlo con le mani e ho detto tutto. Però era forte, mamma mia se era forte, e in quella gara di più, tanto che Buffon deve inventarsi tre o quattro parate di livello per tenerlo a bada. Dopo aver ribadito quanto mi stava sull'anima come calciatore, e  confesso di non averglielo mai nascosto, devo invece dargli atto di essere stato molto carino con me la prima volta che ci siamo incontrati fuori ai sorteggi dei gironi di Champions di Montecarlo. È venuto lui da me – e il debuttante ero io – e mi ha chiesto come mi sentissi subito dopo aver chiuso con il ciclo giocato".

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