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Ilicic è tornato, l'ottava vita di un guerriero caduto troppe volte
LE CADUTE DEL GUERRIERO - Lui, che si è rialzato già una volta tra le macerie scappando da una guerra, senza più un papà ma con una grande passione per quella sfera da agganciare col mancino. Lui, che si è rialzato, di nuovo, quando veniva criticato per la discontinuità di rendimento tra Palermo e Firenze. Lui, che si è rialzato, un’altra volta ancora, quando l’amico Davide Astori l’ha lasciato affranto e solo e quando, ancora e ancora, qualche mese dopo ha visto la morte in faccia per un’infezione batterica ai linfonodi del collo. Ha provato paura Josip, quell’emozione che troppo spesso fatichiamo ad associare ai campioni, a quei Supereroi così invincibili in campo, ma che dietro il mantello rosso nascondono un cuore. E la sua corazza da Ironman si è spezzata, per l’ennesima volta, quando il Coronavirus in primavera ha bussato anche alla sua porta. Eppure Ilicic, una tempra da lottatore nascosta da simpatici siparietti sui suoi continui mal di schiena da ‘nonna’ col Gasp, ancora non si era arreso, alzandosi in tempo per portare la Dea a lottare con la Juve per lo Scudetto.
BLACK-OUT - Ma è stato proprio allora, nel punto più alto della sua carriera, dopo 21 gol e 9 assist, nel punto più alto della storia dell’Atalanta, che gli è piombato addosso quel black-out che avrebbe steso chiunque definitivamente. Persino il pallone tra i piedi gli diventa pesante, persino quella Final Eight di Champions a Lisbona che sognava da quando era bambino diventa solo un impegno da strappare dal calendario. Ilicic non prenderà mai quell’aereo, nemmeno per supportare i suoi dalla tribuna di un Da Luz che perde la sua Luce.
UN'ALTRA VITA - Ma è quando torna in campo e si confronta con lo specchio dagli 11 metri, che il cuore perde un battito: è l’ombra di sé stesso, non trattiene le sfere, diventa un birillo in balia degli avversari. Il fantasma di quel ‘San Giuseppe’ osannato nelle piazze bergamasche. A un passo dai 33 anni, la resa sembra vicina, e nessuno gliene farebbe una colpa, anzi, tutti pronti ad applaudirlo e ricordare quelle sue giocate che stanno spopolando nei monitor delle scuole calcio tra città alta e bassa. Ma no, lui no, ancora una volta, forse l’ultima, si rialza, perché di vite in serbo ne ha ancora parecchie. Il suo maestro e confidente, mister Gasperini, intuisce che a Josip servono solo tempo, fiducia e pazienza. Quindi lo fa giocare, ancora e ancora, per 381’, anche quando sbaglia i passaggi più elementari, anche quando si arrende e gli confida che teme che Miranchuk prenderà la sua maglia. Una maglia che è disposto a regalare solo all’amico Salah a fine gara, non prima però di scivolare in spaccata davanti alla rete per frantumare il vetro e spezzare l’incantesimo. A segno con la sua Slovenia e la sua Dea, nella gara più importante della storia nerazzurra, Ilicic è rinato, un’altra volta, nello stadio monumento del calcio. Ha ancora un girone di Champions da conquistare, e adesso non si vuole fermare più. Consapevole però che, se la vita non contenta lo metterà ancora alla prova, avrà una società e una città pronte a tendergli la mano per farlo rialzare. Di nuovo. You’ll never walk alone.
:(actionzone)
IL TABELLINO
Liverpool-Atalanta 0-2 (primo tempo 0-0)
Marcatori: 15' s.t. Ilicic (A), 19' s.t. Gosens (A)
Assist: 15' s.t. Gomez (A), 19' s.t. Hateboer (A)
Liverpool (4-3-3): Alisson, N. Williams, R. Williams, Matip (40' s.t. Minamino), Tsimikas (16' s.t. Robertson), Jones, Wijnaldum (16' s.t. Fabinho), Milner, Salah (16' s.t. Firmino), Origi (16' s.t. Diogo Jota), Manè. All. Klopp
Atalanta (3-5-2): Gollini, Toloi, Romero, Djimsiti, Hateboer, de Roon, Pessina (40' s.t. Miranchuk), Freuler, Gosens (30' s.t. Mojica), Iličić (25' s.t. Zapata), Gomez. All. Gasperini
Arbitro: Carlos del Cerro Grande (ESP)
Ammoniti: 12' s.t. Tsimikas (L), 43' s.t. de Roon (A)