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    Romamania: l'harakiri di Manchester firmato Fonseca e le macerie di una Roma sparita

    Romamania: l'harakiri di Manchester firmato Fonseca e le macerie di una Roma sparita

    • Paolo Franci
    Ha preferito inabissarsi con la sua nave. In fondo, un paradossale modo di essere coraggioso. O incosciente, a seconda dei punti di vista. Paulo Fonseca saluta la Roma vittima di un pizzico di sfortuna e larghe manciate di presunzione - o ingenuità, anche qui siamo ai punti di vista – perché al netto della sfortuna per i tre sanguinosi infortuni del primo tempo, si contrappone quella scriteriata gestione della gara nella ripresa, con quei gol presi in contropiede e superiorità dello United che, davvero, gridano vendetta. Si dirà che lo United è più forte, si dirà che la Roma – e io l'ho scritto più di una volta da queste parti – è stata fortunata ad arrivare fin qui e si cerchierà in rosso il disastroso cammino in campionato, che non poteva essere una scelta precisa per privilegiare l'Europa ma lo specchio di una fatiscenza tattica e gestionale dei giocatori che solo chi non voleva vedere non ha visto. Senza poter fare cambi nella ripresa e con qualche giocatore certo non al top fisicamente - anzi. Smalling su tutti, la Roma avrebbe dovuto tenere il campo risparmiando il più possibile ossigeno e cercando magari Dzeko con palla lunga per rifiatare e magari innescare il contropiede. Avrebbe dovuto difendere e costringere lo United a fare la prima mossa, senza regalargli praterie per esaltarne le qualità indubbie in ripartenza. Avrebbe dovuto ragionare per tenere vivo il ritorno e, per farlo, aveva in scorta tre gol da subire, sul 2-1, perché fino al 2-4 il match di ritorno, pur complicatissimo, avrebbe ancora avuto un senso. E invece no. Invece Fonseca ha mandato i suoi verso un suicidio annunciato, cercando testardamente di giocare nel solito modo, attaccando sul 2-2 quando era chiaro che così si sarebbe fatto il gioco del maledetto United, consumando fatalmente le ridotte scorse di ossigeno e lucidità. E con quella maledetta costruzione dal basso che manda in frenesia i giocatori rendendoli insicuri e sempre sul precipizio dell'errore. Il ragionamento è semplice: se vedi che i tuoi non palleggiano con tranquillità, come nel vistosissimo caso di Ibanez o Cristante, cambi modo di approcciare. E magari – come dice Capello – ogni tanto riscopri la palla lunga e così porti a casa la certezza di non rischiare. E invece no. Fonseca ha scelto di inabissarsi con la sua nave, testardamente, scrivendo una delle pagine meno degne della storia del suo ormai ex club e lasciando una squadra che da tempo non si sente più tale.

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