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    Il segnale di Maignan ed il gesto di Ebosele: è da qui che bisogna ripartire

    Il segnale di Maignan ed il gesto di Ebosele: è da qui che bisogna ripartire

    • Renato Maisani
    Ci risiamo. È successo di nuovo. E succederà ancora, purtroppo. Inutile illudersi del contrario. Il razzismo ha trovato ancora una volta posto dentro uno stadio italiano - stavolta è toccato al 'Friuli' - e ha ancora una volta macchiato il nostro campionato e, più in generale, il nostro Paese.

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    Stavolta però, Mike Maignan non è stato zitto. Come già successo in passato ad altri colleghi, Maignan si è ribellato. Per fortuna. E sebbene la sospensione della gara tra Udinese e Milan sia stata solo temporanea, il segnale lanciato dal portiere del Milan è stato forte e chiaro: "Io a queste condizioni non gioco". La partita è poi ripresa, sì, ma senza quell'odioso sottofondo, che poi tanto sottofondo non era. E forse è stato proprio il finale migliore perché non è stato Maignan ad arrendersi al razzismo lasciando il campo né l'arbitro ad arrendersi all'idiozia sospendendo definitivamente la gara, ma ad arrendersi sono stati proprio gli autori di quegli insulti che, per evitare di creare ulteriori danni alla propria squadra, hanno smesso.

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    Problema risolto? Per niente. Già nell'immediato dopopartita è scattata la gara alla ricerca della soluzione perfetta, della "pena esemplare" da individuare, dei colpevoli da punire. Non è rimasto in silenzio naturalmente, nemmeno stavolta ahinoi, il "partito dei bastian contrari", che sul terreno di gioco per loro più fertile e cioè quello dei social, si sono subito fatti trovare pronti per tacciare il portiere del Milan di avere esagerato nella reazione. C'è anche, infine, chi suggerisce la strada dell'accettazione passiva: "non va bene, ma non finirà mai. Bisogna conviverci". Niente di più sbagliato. Così come inaccettabile è la teoria secondo la quale "non è vero razzismo perché altrimenti offenderebbero anche i calciatori di colore della propria squadra". È una frase che sentiamo da anni e che non regge proprio per niente.

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    Detto che nessuno di noi può arrogarsi il diritto di stabilire cosa è razzismo e cosa non lo è finché non ne è direttamente vittima, è inutile discutere su quanto sia consapevole di ciò che dice chi quelle cose - per un motivo o per un altro - le dice. Non c'è nessun processo alle intenzioni che possa giustificare nessun episodio del genere. E a chi prova a giustificare il tutto riducendo l'insulto razzista a "un insulto come un altro, fatto senza cattiveria" probabilmente non è chiaro che, anche se così fosse, un insulto di stampo razzista fa sempre più male di quanto non possano fare degli insulti "generici". Sempre ammesso che il fatto di trovarsi in uno stadio renda legittimi anche quelli. 

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    Accanto alle brutte immagini che hanno fatto il giro del Mondo, però, ne rimangono alcune che ci riconciliano con lo sport: gli abbracci di compagni e avversari al portiere del Milan, la volontà da parte di Maignan di far prevalere la voglia di giocare a calcio e di non abbandonare i propri compagni, i fischi di parte dello stadio nei confronti di chi - dopo il primo richiamo - continuava imperterrito a infastidire il portiere francese.

    Rimane in mente soprattutto il gesto di Ebosele che, proprio mentre Maignan si appresta a tornare tra i pali, gli si avvicina e gli stringe la mano, come a scusarsi a nome di tutta l'Udinese. E non lo fa per convincere Maignan a tornare in campo - il portiere aveva già deciso di farlo - ma con totale sincerità, con vera solidarietà. Più che dagli slogan e dalle frasi fatte, è da gesti genuini come quello di Ebsoele che bisognerebbe provare a ripartire. 

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