Getty Images
Il pasticciaccio della Supercoppa spagnola e il prevedibile conflitto d'interessi di Piqué
Il presidente della RFEF, l'ex calciatore Luís Rubiales, ha tenuto una conferenza stampa per spiegare i termini dell'accordo e provare a dimostrare che non vi sia nulla di illecito. Ha inoltre parlato esplicitamente di un'operazione mediatica che qualcuno avrebbe orchestrato a danno suo e della federazione, aggiungendo che teme l'arrivo di altro fango (“A questo punto temo che mi mettano della cocaina in auto”, è arrivato a dire). Sulla stessa linea si è mantenuto Piqué, in altra conferenza stampa tenuta ieri. E riguardo alla manina che avrebbe allungato alla stampa i materiali dei “Supercopa Files” (in cui si trovano anche alcuni file audio di conversazioni telefoniche), e alla quale i due alludono, qualche idea ce l'avremmo specie se si pensa a chi possa essere un nemico sia di Rubiales che di Piqué. Ma ci guardiamo bene dal pronunciarci, dato che gli stessi diretti interessati se ne sono astenuti per mancanza di prove. E al di là dei complotti reali o immaginari, rimane la gravità di ciò che emerge attraverso gli articoli pubblicati da El Confidencial.
Una manifestazione calcistica ufficiale viene trasformata in una macchina da soldi da distribuire in modo ampiamente sperequato (esiste uno scarto enorme fra i possibili 6 milioni di euro per Barcellona e Real Madrid e i possibili 750mila euro per il Betis) e permette a un soggetto terzo di percepire una gigantesca commissione d'intermediazione per avere prestato servizi sulla cui utilità parecchio si potrebbe obiettare. Ma l'aspetto più urgente e rilevante dell'intera vicenda riguarda proprio il ruolo di Piqué. Il cui conflitto d'interessi era già evidente ben prima che l'esplosione dello scandalo lo trasformasse in una grave questione politica per il calcio spagnolo. In questo senso, la vicenda resa nota attraverso i 'Supercopa Files' ha una valenza chiarificatrice perché pone un problema del quale prima o poi bisognava occuparsi e con cui il mondo del calcio, non soltanto in Spagna, dovrà fare i conti al più presto.
Il caso di Piqué segnala infatti che è giunto il momento di tracciare un nuovo perimetro sulla questione delle incompatibilità. E il fatto che si tratti di un profilo eclatante di calciatore non deve spingere a ritenere che siamo davanti a un'eccezione, e che dunque non si debba trarne delle indicazioni di carattere generale. Perché proprio l'eccezione aiuta a trattare meglio la norma, e perché in ogni caso di profili come quello di Piqué possiamo rilevarne qualche decina in giro per la scena del calcio globale. Se ciascuno fra essi decidesse di fare le cose che sta facendo Piqué, rischieremmo presto di ritrovarci dentro un caos di conflitti d'interesse da cui non riusciremmo più a districarci.
Mantenendoci sul caso specifico, bisogna rimarcare ciò che il difensore centrale del Barça e della nazionale spagnola è e rappresenta. Un calciatore che è anche un fenomeno mediatico, che gioca per una società che è a sua volta una delle più in vista sul piano globale. Ma Piqué è anche un personaggio pubblico di altissimo impatto, compagno di vita di una rockstar di portata globale. E infine, ciò che più necessita di richiamare l'attenzione, nonostante sia un calciatore in carriera è proprietario di un club calcistico (FC Andorra), che per di più è iscritto alla federazione calcistica per la quale è egli stesso tesserato, nonché proprietario di una società che organizza (la nuova Coppa Davis di tennis) o intermedia l'organizzazione (la Supercoppa spagnola) di grandi eventi sportivi, e che ha appena cominciato a investire nel campo dei non fungible token. Tanto di cappello per la creatività e la capacità imprenditoriale, ma rimane l'interrogativo: può un calciatore in carriera, specie se di quel livello, essere al centro di una tale rete di interessi? O bisognerebbe cominciare a far valere anche per i calciatori le incompatibilità già in essere per i dirigenti e/o proprietari di società di calcio e per i procuratori? Urge risposta da parte della Fifa.