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    Il Napoli gioca a Palla Incantata

    Il Napoli gioca a Palla Incantata

    • Pippo Russo
    Mi succede ogni volta che vedo giocare il Napoli. Avverto un senso di rapimento, una specie d’ipnosi con una musica lontana a fare da sottofondo. Vedo il gioco del calcio nella sua manifestazione più alta, come matrimonio di estetica e organizzazione scientifica del lavoro. Manca il quid della perfezione: il cinismo di ammazzare la partita, d’accompagnare la dimostrazione di superiore qualità con l’affermazione di potenza. Al Napoli di questi mesi difetta giusto quel quid. Che non è poco, per una squadra che vuol vincere titoli, e è tantissimo per le avversarie che altrimenti verrebbero annichilite da questa Gioiosa Macchina da Calcio.

    Il Napoli è così. Una Cicala Meccanica, il senso estetico che sposa il mito futurista della velocità, il mix fra l’istinto dei ragazzi che tirano calci al pallone in cortile e la macchina industriale il cui funzionamento dipende dal rigoroso incastro di centinaia d’ingranaggi. Il gol messo a segno ieri sera da Insigne è la dimostrazione di tutto ciò. Intuizione e talento come doti individuali che con pochi tocchi tagliano il campo intero e devastano lo schieramento avversario. Ma anche perfetta organizzazione delle forze in campo, che permette a ciascuno di giocare il pallone alla cieca, sapendo che in quell’esatto istante e in quell’esatto punto del campo ci sarà qualcuno a riceverlo. Questo è il Napoli che Maurizio Sarri ha saputo plasmare nell’emergenza. Una squadra che veniva da annate in cui le fortune dipendevano soprattutto dal talento di un singolo dalla classe superiore come Gonzalo Higuain. E che, persi in pochi mesi Higuain e il sostituto Milik, ha dovuto reinventare un gioco esaltandone ancora di più la cifra collettiva. E lì, dopo gli inevitabili scompensi, l’allenatore azzurro ha fatto più che reinventare “un” gioco. Perché ha inventato “il” gioco, una formula che non c’era e difficilmente potrà essere replicata. Questa formula si chiama Palla Incantata. Spiegarla non è facile, ma ci provo.

    Ebbi per la prima volta quest’impressione vedendo giocare il Napoli dal vivo. Era Fiorentina-Napoli, la sera di giovedì 22 dicembre, ultimo turno di campionato prima della sosta di fine anno. Forse la partita più bella e folle di questa stagione 2016-17. Per tutto il primo tempo il Franchi ha visto il Napoli giocare un calcio che nella manovra sfiorava la perfezione. La sfiorava soltanto, perché poi la perfezione si compie con la finalizzazione: il gol, o quantomeno la conclusione verso la porta. E invece, al momento del dunque, il Napoli si fermava quasi sempre. Come se fosse una cosa volgare concretizzare la perfezione estetica in un vantaggio pratico. Quel primo tempo si concluse col Napoli in vantaggio 1-0, e in tribuna stampa fra colleghi fiorentini ci si chiedeva come fosse possibile che la squadra di Sarri non fosse avanti di tre gol. Nella ripresa la partita cambiò completamente, con la Fiorentina che trascinata dai suoi talenti giunse a un soffio dal vincerla, e con pieno merito. Andò a finire che il Napoli, dopo essere stato in condizione di stravincere nel primo tempo, acciuffò il pareggio sul 3-3 grazie a un rigore in pieno recupero regalato dal difensore viola Salcedo, autore di un fallo grossolano su Mertens. Smaltite le emozioni di una partita senza respiro, era rimasta l’enorme impressione lasciata dal gioco sciorinato nel primo tempo dal Napoli. Un gioco nel quale pareva fosse il pallone a inseguire i giocatori, e non viceversa.

    Si era vista all’opera una squadra i cui giocatori mostrano innanzitutto una tecnica individuale elevatissima. Una cifra tecnica che ricordo d’aver visto soltanto nella Roma di Nils Liedholm, prima metà degli anni Ottanta. Anche i terzini trattano la palla con una perizia da rifinitori, ché altrimenti sarebbe impossibile mixare a così alto livello qualità e velocità. E s’era vista una ricerca maniacale del fraseggio da lasciare ipnotizzati i giocatori viola. Che parevano sempre sul punto d’intercettare palla, ma regolarmente arrivavano in ritardo d’una frazione di secondo rispetto ai giocatori del Napoli. In quei quarantacinque minuti ho avuto per la prima volta l’impressione che la squadra di Sarri giochi a Palla Incantata. Perché sembra davvero che sia il pallone a raggiungere i giocatori, sedotto da un richiamo simile a quello del flauto ammaliatore. E quella sensazione l’ho provata di nuovo ieri sera, in quella ventina di minuti in cui pareva che il Napoli potesse infliggere al Milan un’umiliazione storica. Il pallone obbediva a una dinamica di seduzione, si negava ai milanisti per un capriccio dei sensi.

    Il problema del Napoli è che il gioco della Palla Incantata non dura novanta minuti. A volte va avanti per un tempo, altre volte anche meno. E nel resto della partita gli avversari affermano la loro presenza, sfruttando svagatezze difensive e cali di tensione che sono l’altra faccia di una squadra capace di regalare sprazzi di calcio quasi perfetto. Ieri sera poteva finire in qualsiasi modo, così come in qualsiasi modo avrebbe potuto finire a Firenze prima di Natale. E adesso rimane da chiedersi cosa sarà di questo gioco della Palla Incantata quando tornerà a disposizione Milik, il centravanti di peso arrivato a Napoli per sostituire Higuain. Senza il polacco e il suo predecessore, Sarri ha plasmato questo calcio meraviglioso. Col polacco in campo dovrà forse rivederlo. Se la sentirà?
    @pippoevai

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