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  • Il mito Garbutt: portò la tattica inglese al Genoa, il termine 'mister' per gli allenatori è nato per lui

    Il mito Garbutt: portò la tattica inglese al Genoa, il termine 'mister' per gli allenatori è nato per lui

    • Alessandro Bassi
      Alessandro Bassi
    Il football dalle nostre parti è ancora affare per poche persone quando un signore che viene dall'Inghilterra arriva a Genova. Come tanti altri, direte voi. Sì, ma quel signore è diverso. Quel signore è William Garbutt e con tanto di pipa e metodi d'allenamento dalle nostre parti mai visti prima sarà destinato a diventare il primo “mister” professionista della storia del calcio italiano.

    DAL CAMPO ALLA PANCHINA - Nato a Hazel Grove, quartiere periferico della cittadina di Stockport, vicino a Manchester, dove gli orizzonti di futuro sono bassi e sfocati, William Garbutt è costretto sin da ragazzino a lavorare in una fabbrica di scatole per aiutare la famiglia non certo agiata. Nella sua vita, però, entra sin da subito anche il football ed è dannatamente bravo con il pallone tanto che a diciannove anni Garbutt gioca nella squadra dell'esercito dove viene visto dai dirigenti del Reading e da questi ingaggiato. Il debutto in First Division avviene nel dicembre del 1905 dopo che si è trasferito al Woolwich Arsenal. A Londra ci sta un paio di stagioni per poi passare, nella tarda primavera del 1908, al Blackburn Rovers dove rimarrà sino a quando un gravissimo infortunio metterà fine alla sua carriera. Di quell'episodio, di quel sabato durante il quale la carriera calcistica di Garbutt si interrompe per sempre, ne è testimone proprio Vittorio Pozzo che così ricorda quel giorno:

    (…) Per una combinazione straordinaria, vidi Garbutt terminare la sua carriera da giocatore. (…) Ero andato a Blackburn, con uno dei soliti treni speciali, per l'incontro Blackburn Rovers – Manchester United. Garbutt giocava come ala destra del Blackburn. Verso la fine del primo tempo, proprio di fronte a me che stavo in prima fila nei posti popolari, in trincea, con il viso proprio a livello del terreno di gioco, Garbutt tentò di battere un avversario spedendo la palla sulla destra e lui girando a sinistra dell'ostacolo vivente. Cadde, non si rialzò. Nel brusco scarto si era prodotto una profonda lacerazione all'inguine.” 

    La carriera di Garbutt da calciatore finisce quel giorno. Ciò che non termina è il rapporto di Garbutt con il football. “Farò l'allenatore!” Ecco presa la decisione di ciò che William farà nel secondo tempo della sua carriera calcistica. Inizia a farlo già nel Blackburn ma la sua fortuna – lui ancora non lo sa – è che il nome di William Garbutt arriva sino a Genova dove Thomas Coggins, un irlandese che in Italia segue le giovanili del Genoa, lo segnala al presidente rossoblu. Coggins sa quello che sta facendo e sa cosa vuole Garbutt per se stesso. Il Genoa è la società più inglese d'Italia, ti troverai bene. E poi paga che è un piacere!

    “MISTER” GARBUTT, PROFESSIONISTA IN PANCHINA - Va bene essere allenatore, va bene venire dalla patria del professionismo calcistico, ma in Italia essere pagati per fare calcio non è proprio possibile. È vietato. Garbutt l'allenatore lo fa a Genova, che è piazza ben disposta ad andare contro questa regola ben poco inglese. Il “mister” viene dunque assunto come consulente in una ditta di Davidosn, dirigente rossoblu e pagato “sottobanco”. È il 30 luglio del 1912 quando William Garbutt arriva a Genova e da quel momento essere allenatore non sarà più come prima. Con lui si inizia ad usare l'appellativo “Mister” per indicare l'allenatore, semplicemente perché Garbutt è inglese e viene salutato “Mister Garbutt”. Soprattutto, però, con lui cambia in modo radicale la figura dell'allenatore. Possiamo quasi dire che con Garbutt viene introdotto un metodo di allenamento che in Italia sino a quel momento non si era mai visto. In un periodo storico dominato dalle bianche casacche della Pro Vercelli, il Genoa grazie ai metodi di allenamento di Garbutt riesce, nella sorpresa generale, ad entrare nel girone finale del campionato 1913/14. Lo stesso allenatore inglese dalle pagine de Lo Sport Illustrato spiega i motivi per i quali la squadra ligure è riuscita nell'impresa, affermando che tutti i giocatori, vecchi e nuovi, hanno “dato una prova meravigliosa di attaccamento alla loro società e ne hanno voluto a ogni costo vincitori i colori” aggiungendo che questo non sarebbe bastato senza un “serio, continuo, sistematico lavoro preparatorio”. Il lavoro, l'allenamento. Garbutt introduce sistemi di allenamento nuovi – tattici – allenando i giocatori il più possibile nella posizione che ciascuno di essi occupava in squadra:

    Un buon allenamento per una coppia di terzini è quello di calciare il pallone l’uno a l’altro da una distanza di circa 40 o 50 metri e di cercare di riceverlo da qualsiasi direzione provenga e, qualche volta, prima che tocchi terra, mantenendolo nello stesso tempo basso e appoggiandoselo l’uno coll’altro pur tenendolo sempre nel campo da giuoco. Anche gli half-backs debbono avere un pallone per conto loro, ed il loro allenamento fra l’altro consiste nei colpi di testa e nei passaggi coi backs. (…) Secondo la mia opinione il segreto dei nostri successi sta nel metodo di giuoco che è quello che gli inglesi chiamano open game, cioè giuoco aperto, giuoco dai lunghi passaggi e nell’allenamento fisico che presenta i giuocatori nelle più favorevoli condizioni.

    Garbutt per il calcio italiano rappresenta il prototipo dell'allenatore professionista non solo per i metodi allenamento ma anche perché interviene in prima persona nella richiesta di giocatori, richieste che vengono esaudite dalla ricca dirigenza genoana. De Vecchi, Sardi, Fresia, Santamaria: il Grifone mette in atto una ricca e aggressiva “campagna acquisti” - seppur vietata dai regolamenti federali – che, assieme alla sapienza di Garbutt, permetterà alla squadra del Genoa di tornare ai vertici del calcio italiano e, con gli anni'20, di vincere entusiasmanti campionati. Ed è grazie a lui se in Italia nel 1913 vediamo giocare per la prima volta una “vera” squadra inglese: il Reading, il vecchio club nel quale Garbutt aveva giocato, viene infatti in tournée per una serie di incontri di esibizione anche su suo invito. Terminata l'esperienza al Genoa, Garbutt allena la Roma dove vince la Coppa CONI e il Napoli, prima di andare a Bilbao sulla panchina dell'Athletic.

    IL GARBUTT “PRIVATO” - Con la seconda metà degli anni'30 Garbutt rientra in Italia. Alcuni anni fa è uscito anche in Italia un'interessante biografia di Paul Edgerton dedicata a William Garbutt che ne ripercorre in modo accurato non solo le vicende sportive ma anche – soprattutto – quelle personali. Dagli inizi stentati all'arrivo in Italia e alla successiva partenza come volontario allo scoppio della Prima guerra mondiale sino agli anni del fascismo, Edgerton racconta il Garbutt “italiano”. È con il 1940, quando la Gran Bretagna entra in guerra contro l'Italia, che Garbutt viene considerato ospite non gradito e quindi prima internato per un breve periodo, poi costretto ad un pellegrinaggio che porterà Garbutt e la sua famiglia da Acerno, a Orsogna ed infine a Imola. E proprio nella località emiliana Garbutt vive la tragedia più profonda, quando il 13 maggio del 1944 la moglie Anna muore sotto le bombe alleate. Terminata la guerra, nonostante la dolorosa perdita, Garbutt allena ancora un paio di stagioni a Genova, poi si ritira definitivamente, scivolando mestamente nell'oblio. Muore accompagnato nel suo ultimo viaggio soltanto dai famigliari, ormai dimenticato dal mondo del calcio.

     
    (Alessandro Bassi è anche su http://storiedifootballperduto.blogspot.it/)

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