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Il Milan è prigioniero di Ibra, anche quando non gioca. Dall'Atalanta all'Atalanta, quanti errori di gestione
La scelta si è poi rivelata vincente, perché lo svedese ha caricato i compagni in campo e fuori e soprattutto ha aiutato la squadra a risalire dall’undicesimo al sesto posto, con vista sull’Europa League. Nessun dubbio, quindi, sul fatto che Ibrahimovic meritasse il rinnovo del contratto per questa stagione. Molti dubbi, invece, sul fatto che rimanesse lui l’unico attaccante di ruolo in una squadra impegnata in Italia e in Europa, a maggior motivo perché si avviava verso i 39 anni, compiuti il 3 ottobre.
“Ci basta Ibra”, disse Maldini e il fondo Elliott, che pensa soltanto ai conti e non agli aspetti tecnici, approvò volentieri. Anche stavolta, nella prossima trasferta a Bergamo, ancora più importante rispetto a quella del campionato scorso, perché davvero decisiva, mancherà Ibrahimovic. La differenza, però, è evidente perché lo svedese è già del Milan e quindi dovrebbe giocare. Dovrebbe, perché il suo campionato è finito in largo anticipo per una serie di infortuni.
Nel suo caso non si può parlare di sfortuna, perché a parte il maledetto Covid che lo ha fermato per 4 partite e un turno di squalifica, Ibrahimovic ne ha saltate altre 7 per problemi alla coscia sinistra, 6 per problemi al polpaccio sinistro, 4 per problemi all’adduttore sinistro e le ultime 3 per problemi al ginocchio, sempre della gamba sinistra. Alla sua età sono guai che si possono mettere in preventivo, ma al di là dei rischi bisognava cautelarsi non con un vice-Ibra, semmai con un altro attaccante di ruolo, anche se lui non lo avrebbe gradito. E così soltanto il Milan ha affrontato la stagione con un’unica punta, cercando di adattare al ruolo i vari Rebic e Leao, al contrario dell’Inter che ne ha avute addirittura quattro: Lukaku, Lautaro, Sanchez e Pinamonti.
Il Milan, in questo modo, è stato ostaggio di Ibrahimovic, che grazie al suo smisurato “ego” ha goduto nel ruolo di salvatore e motivatore della squadra, ma adesso Pioli ne paga le conseguenze, perché Ibrahimovic ha segnato il suo ultimo gol il 21 marzo a Firenze e non a caso il suo calo ha coinciso con quello della squadra. Quando si è cercato di correre ai ripari, sia pure in ritardo, non è stato risolto il problema con l’acquisto di Mandzukic in gennaio.
Comunque vada a finire domenica, quindi, tutti hanno capito che è stato un errore consegnarsi unicamente a Ibrahimovic in attacco, ancora più grave se il Milan non riuscirà a tornare in Champions. E proprio perché è stato un errore, legarsi unicamente a Ibrahimovic, non si capisce perché gli sia già stato rinnovato il contratto, prima ancora di sapere se il Milan davvero giocherà in Champions. Perché se quest’anno lo svedese ha giocato soltanto la metà esatta delle partite di campionato (19 su 38), quante ne potrà giocare il prossimo quando avrà tagliato il traguardo dei 40 anni?
La sua assenza agli europei è già un motivo di allarme, perché nella migliore delle ipotesi alla ripresa della preparazione dovrà ricominciare ad allenarsi a parte. Ecco perché, ripensando a tutto questo, viene il sospetto che dopo essere stato un valore aggiunto nella scorsa stagione, quest’anno Ibrahimovic abbia condizionato negativamente con il suo carisma e la sua personalità l’intero ambiente del Milan.
Gazidis e Maldini, per esempio, non hanno saputo, né voluto, fargli capire che non era il caso di andare a Sanremo, al di là del suo infortunio e del precedente contratto per il festival. Pioli lo ha sostituito soltanto quando lo ha deciso lo stesso Ibrahimovic. Nell’ultima partita contro il Cagliari, lo svedese si è involontariamente sovrapposto allo stesso allenatore, urlando dalla panchina i suoi consigli ai compagni. Anche in queste ore di avvicinamento alla decisiva partita di Bergamo si parla della carica del grande assente, come se fosse lui l’allenatore. E così, fino all’ultimo giorno, il Milan sembra davvero prigioniero di Ibrahimovic. Persino quando non gioca