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    Il mercato ragionato: Inter, c'è la variabile Mancini

    Il mercato ragionato: Inter, c'è la variabile Mancini

    • Pippo Russo
    La scorsa estate l’Inter ha condotto un mercato parecchio impegnativo. Se non da rifondazione, poco ci manca. Sono arrivati molti giocatori e quasi tutti potenziali titolari, il che poneva da subito dei problemi in termini di gestione del gruppo: di giocatori in campo se ne può mandare soltanto 11, e per una squadra che in questa stagione non affronta impegni europei il rischio di tensioni da sottoutilizzo era molto forte. A ciò si aggiunga che diversi fra i nuovi acquisti si sono aggiunti negli ultimi giorni del calciomercato, col campionato iniziato da una o due giornate, il che ha impedito a loro e alla squadra d’avere un periodo di rodaggio. Tutto ciò premesso, il fatto che l’Inter abbia condotto fin qui un campionato di testa e abbia chiuso l’anno solare al primo posto (nonostante la sconfitta casalinga contro la Lazio, prima della pausa) va attribuito come un grande merito a Roberto Mancini.

    Il compito era complicatissimo, e non basta avere tanti calciatori d’alto livello per avere una buona squadra. Forse l’Inter scontenterà gli esteti, e il suo “unoazerismo” comunicherà un’immagine di squadra avara. Ma sui canoni estetici del calcio si potrebbe discutere fino al termine dell’anno che comincia stanotte, e invece la sola cosa che conti è vedere un’Inter capace di darsi un’identità a dispetto dell’assemblaggio così massiccio e avvenuto a tappe forzate. Per dire, in 3 partite su 17 (contro Frosinone, Udinese e Lazio) i nerazzurri sono arrivati a schierare 9 nuovi acquisti su 14 calciatori utilizzati. In condizioni del genere, portare la squadra in testa alla classifica e tenercela è prova di grandi capacità nella guida tecnica.

    Fin qui i meriti di Mancini. Ma bisogna segnalarne anche i limiti nella gestione di una squadra che, come poche altre in questo torneo, sta riflettendo il carattere del proprio allenatore. In questo senso, l’analisi dei dati sull’utilizzo dei nuovi acquisti fa emergere in modo molto chiaro i pregi e i difetti di Roberto Mancini quanto a rapporto col gruppo. Il primo dato riguarda il loro massiccio impiego. Quasi tutti i nuovi acquisti raggiungono la doppia cifra in termini di partite giocate, anche se nessuno di loro fa 17 su 17. Il primatista è Perisic, che appena arrivato in nerazzurro è stato subito mandato in campo per il derby della terza di campionato, e da allora non ha mancato una gara totalizzando 1066 minuti di gioco. Una partita in meno, ma con un numero di minuti giocatiu nettamente superiore, per la coppia di difensori centrali formata da Murillo e Miranda: 1317 il primo, 1201 il secondo. Sarebbero stati totalisti se entrambi non avessero dovuto scontare due giornate out per infortunio e un’espulsione: Miranda contro la Fiorentina, Murillo contro il Palermo. Loro due costituiscono la vera certezza di Mancini, nel contesto di un gruppo molto rinnovato.

    Dietro di loro, con 13 partite, si piazza Jovetic. E parlando del montenegrino si può aprire il dossier riguardante i limiti di Mancini nella gestione dei nuovi e del gruppo. Nonostante sia uno dei più presenti, Jovetic ha giocato una sola gara per intero: quella contro il Frosinone. Per il resto, il suo curriculum nerazzurro è fin qui una sarabanda di sostituzioni fatte e ricevute, per un totale di 867 minuti di gioco. La media fa 66,6 minuti a partita. Una volta esistevano i calciatori da mezza partita, Jovetic rischia di diventare un calciatore da due terzi di partita. Inoltre, il caso dell’ex viola chiama in ballo il complicato mantenimento dei rapporti personali fra Roberto Mancini e i suoi giocatori, ciò che non è una novità. Le tensioni fra i due sono state un tema giornalistico delle scorse settimane. E come vedremo, il montenegrino non è l’unico a aver scontato la non buona disposizione di Mancini nei suoi confronti.

    A quota 12 troviamo i due acquisti che fin qui hanno più deluso, sia pure per motivi opposti: Felipe Melo e Kondogbia. Il brasiliano ha giocato 978 minuti, un utilizzo molto elevato. Ma dopo la follia compiuta contro la Lazio (fallo da rigore degno di un TSO e seconda espulsione del torneo, con media di una ogni 6 gare) è probabile che la sua avventura in nerazzurro cambi nettamente segno. Quali siano i suoi limiti era abbondantemente noto. E ancor più avrebbero dovuto esserlo a Roberto Mancini, che ha avuto Melo alle sue dipendenze durante la stagione trascorsa sulla panchina del Galatasaray. Quanto al francese, sta scontando le aspettative che derivano dal prezzo eccessivo pagato per farlo arrivare in nerazzurro, oltre a un infortunio. I suoi minuti di gioco sono 828.

    A 11 partite si piazzano Telles e Ljajic, due giocatori che rispetto alla stima dell’allenatore hanno seguito due percorsi opposti. Telles si è visto assegnare fiducia immediata e ha messo assieme 876 minuti di gioco. Discorso opposto per Ljajic, che a lungo è stato uno degli emarginati e pareva destinato a veder finire presto l’avventura nerazzurra. Nelle prime 9 gare aveva collezionato soltanto 3 spezzoni per complessivi 71 minuti. Poi alla decima è stato mandato in campo dall’inizio a Bologna, e da allora le ha giocate tutte e quasi sempre da titolare. I suoi minuti sono 648, e sul suo conto rimane il mistero di questo repentino cambio d’atteggiamento dell’allenatore. Non l’unico. Con 9 partite troviamo Biabiany (406 minuti), a proposito del quale conta soprattutto l’averlo rivisto in campo dopo lo stop causato da problemi cardiaci. E infine ci sono i due giocatori con 2 presenze a testa. Di Manaj non c’è molto da dire, dato che in due partite somma 5 minuti: 4 al Meazza contro l’Atalanta e 1 a Udine.

    Un caso molto più interessante è quello di Montoya, emblematico di ciò che Mancini farebbe bene a correggere immediatamente di se stesso, se davvero vuol riportare l’Inter in Champions. Arrivato in estate, Montoya era scontento e voleva andarsene già in agosto. Né l’allenatore ha fatto molto per fargli cambiare atteggiamento. Anzi, gli ha inflitto 15 panchine consecutive e 0 minuti di gioco. Poi invece alla sedicesima giornata l’ha mandato in campo a Udine da titolare, tenendolo dentro per 90 minuti e replicando la mossa contro la Lazio. Per Montoya, dunque, due partite con 180 minuti giocati e il ribaltamento di condizione: da confinato a titolare. Unico commento possibile: boh? Per quanto riguarda le cifre totali, gli impieghi dei nuovi nerazzurri sono stati 115 su 238 (Mancini ha sempre usato i tre cambi a disposizione), il 48,3%, e i loro minuti giocati arrivano a 8372 su 18630, il 44,9%.

    P.S.: buon 2016 a tutti.

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