Redazione Calciomercato
Il mental coach dei calciatori a CM: 'Obiettivi e ansia, così aiuto i giocatori. Onana flop dopo l'Inter, cos'è successo'
Perché un calciatore dovrebbe scegliere di farsi affiancare da un mental coach?
"Perché se si ha realmente la visione e il desiderio concreto di voler raggiungere un sogno importante e ambizioso, una pesona che aiuti a gestire le emozioni e a indichi la strada da percorrere penso sia d'aiuto. Difficilmente il mio piano economico ha un fisso, lavoro a obiettivi; per dimostrare che anch'io credo nella persona che ho di fronte: se fallisce, avremo fallito in due. Vi faccio un esempio".
Prego.
"Onana l'anno scorso era uno portiere fortissimo, tra i tre migliori in Serie A; sicuramente adesso non è diventato scarso in poco tempo. Ma cosa gli è successo in questi mesi? Adesso non è più in grado di gestire l'emozione, la paura ha preso il sopravvento e avrebbe bisogno di qualcuno che lo aiuti a gestire la situazione".
Cosa fa nello specifico questa figura?
"Il mio ruolo nell'azienda Brain Fitness si sviluppa in diversi step".
Iniziamo dal primo.
"La prima cosa che propongo ai miei clienti è un'analisi algoritmica comportamentale, un test di 200 domande molto veloci al termine del quale io avrò un grafico che mi dice nel dettaglio punti di forza e punti deboli della persona. E questo aiuta me a risparmiare tempo e il giocatore a risparmiare soldi".
Poi?
"Si lavora sui punti deboli: ordine e pulizia. Ci concentriamo su quali obiettivi vuole raggiungere e cos'è stato finora a frenarlo secondo lui. Approfondiamo la gestione dell'ansia, per far sì che i punti deboli diventino aspetti di forza attraverso un lavoro pianificato. E' un allenamento continuo, come succede con il fisico. Il mio lavoro è un feedback quotidiano, anche se il lavoro one to one viene fatto un paio d'ore a settimana per dare il tempo al calciatore di assorbire le informazioni e metterle in campo".
Terzo punto.
"Qual è la vera motivazione che spinge a fare una determinata cosa. Si analizzano quei punti di forza che magari non sono mai stati presi in considerazione, e ci si pongono dei traguardi concreti. Spesso i calciatori mi dicono "voglio migliorarmi", "voglio arrivare in alto". Sì, ma che vuol dire? E' un concetto astratto, ma la nostra parte inconscia vive d'immagini".
Quando è stata introdotta questa figura nel calcio?
"Io l'ho iniziata a studiare nello specifico circa 15 anni ma, magari esisteva ancora prima e non me ne ero accorto. Essendo io ossessionato dal calcio, ho cercato di mettere insieme le mie due passioni".
Dovrebbero avere tutti Marco Marchese nella propria vita?
"No, il mental coach non è per tutti. Solo per chi ha davvero la voglia di arrivare a conquistare traguardi che non raggiunge con altri mezzi. L'errore sta nel cercare il mental coach solo quando si è in difficoltà, magari non si gioca da tanto tempo e si vede la nostra figura come un'ultima spiaggia. Oppure se si va da un esperto solo perché consigliati da altri; così non ha senso. Il mental coach lavora meglio se davanti ha una persona che ha la volontà di migliorarsi".
Con una persona di riferimento vicino, secondo te, giocatori come Cassano e Balotelli avrebbero fatto un'altra carriera? "Non penso, perché da quello che sembrava a me non erano calciatori che avessero il desiderio di aprirsi e ricevere un aiuto. Hanno esaudito il desiderio di realizzarsi e mettere in campo tutta la loro tecnica".
Con quanti giocatori lavori?
"Più di 20 professionisti tra Serie A, B e C. Ma a breve partiremo con una nuova iniziativa che in Italia non è mai esistita".
Dicci di più.
"Federico Caronte, ex calciatore del Torino, mi ha chiesto di aiutare i ragazzi nella fascia 14-18 anni attraverso un percorso per il quale stiamo selezionando coach specializzati. Saranno due lezioni al mese per un anno, e sarà accessibile anche di chi non ha molte disponibilità economiche".
Ti è mai capitato di avere un giocatore che poi ha abbandonato il percorso?
"Assolutamente sì, ed è comprensibile. Perché con me si lavoa sodo, se vuoi raggiungere un obiettivo mai raggiunto bisogna fare cose mai fatte fino a oggi. E' un primo approccio per capire se si è davvero motivati".
Ci sono ancora calciatori che 'snobbano' questo ruolo?
"Da quando ho iniziato a oggi, perlomeno, c'è più volontà nel voler capire di cosa si tratta. Purtroppo la disinformazione è ancora tanta, per questo chi sta dall'altra parte non sa cosa pensare di un mental coach. Quando ho lavorato per qualche società ho sempre detto di non imporre ai calciatori questo percorso, non volevo fosse una cosa forzata".
Come cambia il lavoro stando dentro un club?
"Quando lavoravo nelle società presentavo il mio progetto e spiegavo quello che facevo, chi aveva il desiderio di saperne di più mi contattava. Io non chiamavo mai nessuno per lo stesso motivo spiegato prima, il calciatore deve sentirsi libero di poter scegliere se prendere o meno questa strada".
@francGuerrieri