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    Il mental coach Corapi a CM: 'Euro 2016, ancora insieme a Petkovic! E quel caffè con Klose...'

    Il mental coach Corapi a CM: 'Euro 2016, ancora insieme a Petkovic! E quel caffè con Klose...'

    • Luca Capriotti

    Il suo nome, Sandro Corapi, nell'anima colelttiva dei tifosi della Lazio è legato strettamente alla figura di Vladimir Petkovic, l'allenatore che ha permesso alla Lazio di conquistare la Coppa Italia 2013, battendo in finale nel derby la Roma, grazie al gol di Lulic. Fondamentale, nell'avvicinamento ad una delle partite più sentite per le due tifoserie capitoline degli ultimi anni, è stata proprio la figura di Corapi, mental coach che, a fianco della squadra, l'ha sostenuta e accompagnata, divenendo figura importante per tanti giocatori-cardine dello spogliatoio biancoceleste, da Hernanes a Candreva. Ha affiancato di nuovo Petkovic, in un legame 2.0, anche nella preparazione e nella gestione della Nazionale svizzera, ed in esclusiva ai microfoni di CM ci ha raccontato il suo ruolo, oggi come nel 2013, nella gestione di una squadra, nei suoi aspetti più delicati, motivazionali e mentali. Con una piccola sortita sulla Nazionale di Conte, su Zaza e Pellè, e un finale su Bielsa, e lo stesso Petkovic. 


    La Svizzera di Petkovic, anche se eliminata agli ottavi di finale dall’Europeo per mano della Polonia ha raggiunto il suo massimo traguardo nella competizione. Poco prima dei calci di rigore, abbiamo visto Petkovic riunire i giocatori a cerchio per caricarli a livello motivazionale. Vecchi retaggi del 26 maggio 2013? 
    “Petkovic, nella preparazione della partita, cura in un modo molto dettagliato e particolare gli aspetti motivazionali e mentali dei giocatori. Vista la conoscenza e stima reciproca instaurata nel periodo di preparazione alla Coppa Italia del 26 maggio e continuata in questi anni, con Vlado ci siamo sempre confrontati prima di ogni partita della Svizzera. Ovviamente il rapporto e la comunicazione si sono intensificati nel periodo della fase finale degli Europei”.

    Dalla Lazio alla nazionale svizzera, che differenze ci sono in fase di preparazione? 
    “Nella squadra di club si ha modo di diluire il tempo, in quanto l’attività di lavoro ha una durata generalmente annuale. Mentre invece in fase di ritiro per una competizione stile Europei i tempi sono più stretti, viste le intense attività per la preparazione delle partite a distanza ravvicinata: quindi in questi casi si lavora più che altro sulle strategie di gruppo”

    Come si prepara una nazionale eterogenea, anche con aspetti culturali diversi da giocatore a giocatore? 
    “Non c’è molta difformità rispetto a una squadra di club, dove c’è molta più disomogeneità visto che ci sono giocatori provenienti da paesi diversi. Anzi, probabilmente sotto questo punto di vista nelle squadre di club c’è più difficoltà rispetto a una nazionale”.

    C’è un aneddoto in particolare riguardo la sua esperienza in questo Europeo? 
    “Diciamo che con Petkovic ci siamo trovati in totale sintonia nel responsabilizzare alcuni giocatori, soprattutto prima della partita con la Romania, attraverso dei colloqui individuali. Petkovic è stato bravo nel trovare il modo e il tempo giusto per farli. Questo ha dato una forte carica emotiva ad alcuni elementi determinanti del gruppo”.

    Una domanda sull’Italia: si dice che i rigori non siano una lotteria, ma conti molto il fattore mentale. Come avrebbe aiutato gli Azzurri? 
    “Per battere bene i rigori devono essere allenate tre componenti: convinzione nei propri mezzi tecnici, padronanza della gestione delle emozioni, conoscenza dell’avversario. Partendo dal presupposto che un rigore parato è un rigore battuto male, se si lavora su questi tre aspetti al momento di calciare il penalty sai già di aver vinto, perché ti sei preparato durante le giornate a quel tipo di prestazione, sottoponendoti a un allenamento mentale e fisico che ti ha portato a creare una nuova abitudine. I calciatori sanno come si calci un rigore, ma bisogna essere comunque pronti al contesto. E in quel determinato contesto occorre tirare fuori convinzione, a livello di autostima e consapevolezza di sé. Sarebbe stato opportuno riprodurre in fase di allenamento, anche se in modo diverso, lo stress che genera calciare un rigore in un momento delicato. È la convinzione di essere forte che fa la differenza. E poi avrei consigliato a tutti i rigoristi di non camminare nel tragitto dal centrocampo al dischetto, ma di procedere con una corsetta, guardando verso la porta e il portiere, sicuri di sé”.


    Che percorso inizieresti oggi con Zaza e Pellè, molto criticati sul web dopo gli errori dal dischetto?
    Con Zaza e Pellè trasformerei questa sconfitta con una grande opportunità di crescita per il futuro. Più forte è l'emozione negativa di una sconfitta, più forte è la motivazione a crescere e curare di più i dettagli. Non hanno curato i dettagli, questo per loro può essere l'inizio di un apprendimento, qualcosa che gli servirà da lezione per il resto della vita. Un'esperienza negativa che può essere da esempio per tanti altri calciatori che hanno trascurato fino ad ora l'aspetto mentale della concentrazione nelle varie fasi di gioco, fino alla preparazione nel calciare i rigori". 

    Questo è l’Europeo della nazionali con meno stelle, forti in organizzazione e concentrazione. Come si porta a livello mentale una squadra con anche giocatori disoccupati (Galles) o in serie B (Islanda), a confrontarsi con stelle di prima grandezza?

    “Lì si punta sullo spirito di appartenenza e sull’orgoglio. Sono stati bravi gli allenatori a creare spirito di gruppo e in questo includo anche Conte, che è riuscito a far appassionare di nuovo il pubblico italiano pur non partendo con i favori del pronostico. Questa è la classica dimostrazione che nel calcio contano di più le motivazioni e rapporti umani rispetto agli aspetti tecnici. Certo, se ci sono entrambi questo porta una squadra a essere grande. Gli allenatori hanno valorizzato il concetto del singolo al servizio del gruppo, avranno parlato all’esasperazione non di individualità, ma di collettività, creando la magia e il feeling giusto all’interno dello spogliatoio”.


    Alcuni giocatori, soprattutto quelli con più di 40 partite stagionali, sono sembrati un po’ svuotati. Possibile che siano arrivati scarichi a una competizione così importante?

    “È impossibile arrivare scarichi a una competizione così importante. Semmai sono arrivati non abbastanza motivati e i motivi sono soggettivi, variano di caso in caso: non esiste scarico mentale, ma scarico motivazionale. E quando si presenta questo incide sia sulla prestazione mentale che su quella fisica. Evidentemente non avevano ben chiaro l’obiettivo che dovevano raggiungere e questo non li ha portati ad avere la fame, la determinazione e la voglia di vincere, qualità determinanti per mantenere alta la concentrazione e di conseguenza la motivazione”.


    Ha conservato nel tempo dei rapporti con i giocatori biancocelesti?
    Sì, con molti di loro. Alcuni si sanno pubblicamente, come Antonio (Candreva, ndr) o il “Profeta" Hernanes, con i quali i contatti sono quasi quotidiani. Mentre con molti altri ho avuto un rapporto più privato. Mi ha fatto piacere salutare privatamente un grande campione, sia a livello sportivo che soprattutto umano, come Miro (Klose, ndr): mi ha invitato a prendere un caffè a casa sua dopo l’addio alla Lazio. Un bel segnale di riconoscenza e stima reciproca”.

    Che impatto può avere un allenatore straniero, con una cultura diversa, come fu Petkovic e ora sarà Bielsa, su uno spogliatoio di Serie A?
     “Il calcio ha bisogno di novità. Una squadra ha bisogno di novità. E un allenatore straniero porta una nuova cultura di fare calcio, creando grande curiosità e interesse nei giocatori stessi. Di conseguenza si genera una forte motivazione, che però deve essere incanalata nel modo giusto per far rendere al massimo ogni singola componente del gruppo. Lì sarà nella bravura del tecnico ottimizzare le novità tecniche, organizzative e motivazionali. Petkovic è una persona che lavora molto sulle dinamiche psicologiche dei calciatori. In questi anni ci siamo sentiti spesso per discutere di alcuni aspetti delle partite, ho notato una grande apertura mentale, indice di grande maturazione personale e professionale. Non mi stupirei di rivederlo presto in Italia”.
     


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