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Il giorno in cui a Pinerolo tutti gli italiani scoprirono una favola chiamata 'curling'
In effetti l’anno 2006 per l’Italia e in particolare per Torino ancora oggi viene ricordato come quello di una svolta. Per la città Fiatdipendente le Olimpiadi Invernali furono l’occasione che le consentì di scrollarsi di dosso quell’abito grigiofumo il quale l’aveva sempre fatta ritenere, da chi non la conosceva bene, una sorta di fredda e metallica Detroit italiana. I Giochi, fortemente voluti e persino imposti dall’avvocato Gianni Agnelli, furono il grade e ultimo regalo che il “vicerè” fece alla sua città la quale ancora oggi beneficia di quell’evento ormai lontano.
Ma se Torino per chi la immaginava da lontano era sulla Luna, Pinerolo esisteva soltanto come un puntino quasi invisibile sulla cartina geografica. Per gli stessi torinesi, la cittadina ai margini della Val Chisone, era il posto del panettone Galup, di un ristorante che aveva anche un parco con una tigre e un leone addomesticati, della scuola Regia di Cavalleria dove l’Avvocato si era “laureato” con lode. Per il resto era un luogo di transito, il giorno di ferragosto, per i tifosi della Juventus che dovevano costeggiare Pinerolo per raggiungere Villar Perosa sede della Grande Festa bianconera di inizio stagione.
Da quel febbraio 2006, non subito ma un poco alla volta, Pinerolo diventò e venne eletta come una sorta di piccola Betlemme laica dove al freddo e a gelo di un palazzetto del ghiaccio era nato uno sport che per gli italiani contava molto meno di quello delle bocce. Eppure sempre di “cose” rotolanti si trattava. E per partecipare alle gare occorreva essere bravi come lo erano gli svedesi, gli americani, i canadesi e i giapponesi.
Si chiamava “curling” e prima di quei giorni olimpici in pochi davvero sapevano di cosa si trattasse e come si giocasse. Io imparai a conoscerlo durante quelle gare che descrivevo facendomi aiutare da Evelina Christillin, la presidente del Comitato Torinese. Aveva portato con sè due ragazzini ancora minorenni, Stefania Constantini e Amos Mosaner. Quel giorno fecero una promessa a se stessi e agli altri. Sarà il nostro sport e vinceremo. Torneranno dalla Cina con al collo una medaglia d’oro per ciascuno. Sembra una favola. E’ già Storia.